Emergenza Darfur

Il Darfur occidentale, un’arida regione ad ovest del Sudan, appare ormai un paese fantasma. A causa della guerra un milione di persone è stato costretto a cercare rifugio nelle altre regioni interne del Sudan o al confine. Ma questo non significa salvezza. Quando non si muore per le violenze della guerra, infatti, ci pensa la fame, le malattie e la minaccia incombente di una carestia. La denuncia giunge da Amnesty International che, dopo aver visitato la regione lo scorso maggio, ha lanciato un appello mondiale per richiamare l’attenzione su una crisi umanitaria che la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) ha definito la peggiore del mondo. I combattimenti nel Darfur fra le diverse etnie per la distribuzione delle terre più fertili si sono acuiti nel febbraio dello scorso anno: i Janjawid, i “diavoli a cavallo” armati dal governo centrale del Sudan, hanno compiuto uccisioni, sequestri, stupri, incendi di villaggi e saccheggi. Secondo l’Onu la cifra degli sfollati si aggira fra i 900 mila e un milione, mentre sarebbero fra i 110 e i 130 mila i profughi rifugiatisi nel Ciad. Ma non sono comunque al sicuro, perché la minaccia di attacchi da parte delle milizie resta alto. Il pericolo maggiore, però, è costituito dalla carestia e dall’insufficienza di aiuti umanitari. “I primi profughi nel Ciad sono arrivati nell’agosto 2003 e le altre organizzazioni internazionali hanno risposto adeguatamente, almeno all’inizio”, spiega Sergio Cecchini di Medici senza Frontiere, “abbiamo allestito degli ospedali d’urgenza e dei centri nutrizionali ma presto la situazione è peggiorata rendendo inefficaci gli aiuti umanitari, rallentati anche dalle barriere burocratiche poste dal governo centrale. Per esempio, lo standard prevede una latrina ogni venti persone, invece in questi campi ce n’è una ogni 400 persone”. In condizioni di sovraffollamento le condizioni igieniche precarie aumentano il rischio dello scatenarsi di epidemie che decimerebbero la popolazione già fortemente indebolita. Il tasso di malnutrizione e di mortalità peggiora di settimana in settimana e l’approvvigionamento di acqua potabile è estremamente difficile. Secondo una ricerca nutrizionale condotta da Msf in cinque villaggi nella provincia del Darfur dove si rifugiano 100.000 sfollati, la malnutrizione colpisce il 21,5 per cento dei bambini sotto i cinque anni e tra questi il 3,2 per cento ne soffre in modo grave. E se si considera che la soglia di emergenza è del 20 per cento, si capisce quanto la situazione sia grave. Ancora. Il cinque per cento di bambini della stessa fascia di età sono morti negli ultimi tre mesi, per fame, diarrea e malaria. Mentre il 60 per cento dei decessi di bambini di età superiore ai cinque anni è legata ai traumi della guerra. Nel mese di maggio, nel centro nutrizionale di Iriba, sono stati ricoverati 25 bambini a settimana. Anche il tasso di mortalità della popolazione ha superato di tre volte il limite di emergenza. Per questo servono altri aiuti subito. “La stagione delle piogge potrebbe portare nuove epidemie di colera, meningite e malaria e rendere più difficile l’invio di soccorsi e di generi alimentari a causa dell’impraticabilità delle strade”, continua Cecchini. “Queste persone non hanno potuto fare la semina e non hanno più le loro riserve, perciò un ritardo degli aiuti è un grosso rischio per la loro sopravvivenza”. Non basta però solo una soluzione umanitaria. La strada da percorrere è soprattutto politica. Il governo del Sudan ha più volte promesso di facilitare le azioni di assistenza e di porre fine alle violenze contro i civili. Anche i governi della comunità internazionale, l’Unione africana, l’Unione Europea e la lega Araba hanno condannato le violazioni dei diritti umani nel Darfur. Ma a oggi nulla è cambiato. Ecco perché le organizzazioni umanitarie chiedono una maggior pressione sul governo. Alla fine di maggio Ton Koene, coordinatore dei progetti di emergenza di Msf, è stato ascoltato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla crisi del Darfur. E anche Amnesty International si è mossa lanciando un appello mondiale, sottoscrivibile all’indirizzo http://www.amnesty.it/primopiano/sudan, che fa delle precise richieste al governo del Sudan: consentire il dispiegamento di osservatori internazionali sui diritti umani sotto il mandato dell’Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite e impegnarsi pubblicamente a rispettare il diritto umanitario e a garantire la tutela della vita e dei mezzi di sussistenza della popolazione in ogni zona del paese. E inoltre di assumersi la responsabilità per l’operato delle milizie, di smantellarle e garantire che non possano più compiere altri abusi.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here