Categorie: Società

“Ergastolo agli hacker”

“Il crimine è sempre crimine, sia che avvenga per strada che su Internet”. Con queste parole il texano Lamar Smith, deputato repubblicano del Congresso Usa, ha dato il benvenuto qualche giorno fa alla nuova normativa statunitense che prevede l’ergastolo per reati informatici che causino la morte di persone. Mentre per infrazioni minori, che non arrivino cioè all’omicidio, sono previsti fino a 20 anni di prigione. È il Cyber Security Enhancement Act del 2002, una serie di leggi che nelle intenzioni di Smith, principale promotore dell’azione legislativa, dovrebbero ridurre drasticamente gli atti di cybercrime e dare maggiore sicurezza alle infrastrutture telematiche nazionali. E in nome del patriottismo il pacchetto normativo è stato approvato con il voto congiunto di repubblicani e democratici, inglobandolo nell’Homeland Security Bill, il testo di legge che istituisce la nuova agenzia federale responsabile della sicurezza nazionale. Che potrà spiare i cittadini con una libertà mai avuta prima d’ora. Ma se il mondo politico ha espresso giudizio unanime sulla necessità di norme così drastiche, diversamente la pensano le associazioni che difendono i diritti alla privacy.Per Chris Hoofnagle, consulente legale dell’Electronic Privacy Information Centre (Epic), un’organizzazione no-profit di Washinghton tra le più autorevoli nella lotta alla difesa della privacy “le norme approvate puniscono in modo più severo i crimini commessi con una tastiera che quelli attuati con pugnali o pistole”. Insomma secondo alcuni, i legislatori d’Oltreoceano sarebbero in preda a una sorta di crisi isterica. “Messa in questi termini, la norma lascia molto, troppo alla discrezionalità. Ancora una volta, l’attenzione del legislatore americano, e sempre più spesso di quello italiano, si concentra sulla demonizzazione delle tecnologie invece che sulla punizione dei comportamenti illegali”, afferma Andrea Monti, docente di Diritto delle tecnologie e accertamento dei reati informatici presso l’Università di Chieti, e presidente dell’Associazione per la Libertà nella Comunicazione Elettronica Interattiva (Alcei). “Il fatto che qualcuno provochi la morte di un essere umano con un coltello piuttosto che interrompendo il funzionamento di un sistema biomedico è irrilevante rispetto all’obiettivo raggiunto. In altri termini, è grave il fatto in sé di uccidere, non lo strumento che si utilizza”. Le strategie da percorrere per rendere più sicure la infrastrutture telematiche dovrebbero essere diverse e, soprattutto, coinvolgere i principali attori della questione: i produttori di software. Mentre emanare normative come quella statunitense può essere addirittura controproducente per lo sviluppo tecnologico: “Non risolve i problemi veri, generando sfiducia e paura fra la gente”, sottolinea Monti. “Per essere concreti: se la sicurezza e l’incolumità delle persone sono tanto importanti da sanzionare pesantemente atti illeciti compiuti tramite l’Information Technology, perché ancora oggi i produttori di sistemi operativi sono impunemente liberi di vendere dei veri e propri “groviera” della sicurezza, di dichiarare in pubblico che, sì, il loro prodotto ha qualche problema, però comprando la nuova versione tutto andrà a posto, e regolarmente ciò non accade?”. Ma evidentemente, piuttosto che scomodare le grandi industrie, è più semplice promulgare leggi iperboliche. E a dire che si è passato il segno c’è anche una parte dell’opinione pubblica conservatrice, portata su giornali dall’editorialista del New York Times William Safire, già ghost writer del presidente Richard Nixon. A proposito dell’Homeland Security Bill Safire scrive: “Una normativa che trascina gli Usa in uno scenario orwelliano e non promette nulla di buono”.

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