Eterologa, cosa aspettarsi dalle linee guida

Il divieto di fecondazione eterologa è caduto. Le prime gravidanze ottenute grazie alla donazione di gameti esterni alla coppia sono state già annunciate. Ma delle linee guida che dovrebbero regolamentarle non c’è ancora traccia. Per poco però. Ritenute necessarie da parte del Ministero per procedere all’applicazione della sentenza delle Corte costituzionale dello scorso aprile – ma secondo i giuristi non affatto limitanti per richiedere già da ora l’accesso all’eterologa, come ribadiscono anche in un

un manifesto per l’immediata attuazione della sentenza appena diffuso – le nuove linee guida, dovrebbero arrivare a breve, già questa settimana, dopo la chiusura dei lavori del gruppo di lavoro costituito dagli esperti del dicastero. Tra anticipazioni e polemiche.

Ma cosa dovrebbe contenere delle linee guida sull’eterologa? Quali dovrebbero essere le procedure da seguire per chi volesse accedere alla fecondazione eterologa o diventare un donatore di gameti? Cosa aspettarsi? Ne abbiamo parlato con Andrea Borini, presidente della Società taliana di fertilità e sterilità e medicina della riproduzione (Sifes) e parte del tema di esperti chiamati dal ministero a scopo consultivo.

“I punti chiave di cui le linee guida sull’eterologa dovrebbero tener conto sono l’anonimato dei donatori e la gratuità della donazione”, spiega Borini. “Vale a dire dovrebbe essere possibile risalire al donatore, ad eccezion fatta forse nei casi il cui nascituro sia affetto da patologie genetiche gravi”. Ovvero nel caso in cui si diagnosticasse una malattia ereditaria,un tribunale potrebbe giudicare opportuno risalire al genitore biologico, ma solo nel caso in cui questo abbia dato esplicito consenso. “Per quel che riguarda le modalità della donazione invece si dovrebbe garantire nelle nuove linee guida che la messa a disposizione di ovuli e gameti non diventi uno scambio commerciale”, continua Borini: “In tal senso è auspicabile un sistema di rimborsabilità, così come avviene con le altre donazioni, vedi quelle di midollo, che miri a coprire le spese sostenute per il tempo necessario alla donazione”.

Non rimborsabilità ma agevolazioni di diverso tipo (come una riduzione delle spese) potrebbero essere invece le forme di aiuto per le donne che, ricorrendo alla procreazione medicalmente assistita, decidano di mettere a disposizione gli ovuli soprannumerari ottenuti durante la procedura (il cosiddetto egg-sharing). Oltre questo, altri fonti di ovuli, potrebbero essere quelli crioconservati (previa analisi approfondita dello stato di salute delle donatrici), provenienti anche da banche europee.

Per quel che riguarda i donatori invece – così come specifica anche il documento per le linee guida sull’eterologa che la Sifes ha inoltrato al ministero – i criteri di scelta dovranno tener conto ovviamente del buono stato di salute del donatore, valutando l’assenza di malattie genetiche attraverso anamnesi genetica ed escludere l’esposizione a farmaci o condizioni ambientali (come radiazioni) che possano avere effetti negativi sulla salute riproduttiva. Età consigliabile per i donatori: tra i 21 e i 35 anni, sia per le donne che per gli uomini (per quest’ultimi sembra più probabile il tetto dei 45 anni). Al contrario, al momento non si parla di un’età massima per la coppia che intenda accedere alla fecondazione eterologa, se non di poter garantire l’accesso alle donne che rientrino nella fascia di età considerata fertile (sconsigliando, in ogni caso, la procedura, alle donne di età superiore ai 50m, specifica il documento della Sifes).

Sul limite delle donazioni il discorso invece è un po’ più complicato: “L’ideale sarebbe tener traccia delle donazioni e delle gravidanze derivanti in modo tale da assicurare che non cui siano più di dieci famiglie con figli nati dallo stesso donatore”. Calcoli alla mano, continua Borini, questo significa che la probabilità che due consanguinei si incontrino, è praticamente infinitesimale. “Il rischio che due persone nate dallo stesso genitore biologico, assumendo che limite massimo di famiglie con bambini nati dallo stesso donatore sia dieci, si incontrino, è un problema che potrebbe essere reale solo se l’eterologa fosse praticata all’interno di una comunità con centinaia di migliaia di abitanti, non su scala nazionale, con oltre cinquanta milioni di persone, come l’Italia”. Ma perché considerare le famiglie e non le singole donazioni o gravidanze? Perché in questo modo, continua Borini, verrebbe garantito il diritto a una coppia, che è già ricorsa all’eterologa, la possibilità di usare gli stessi gameti impiegati per far nascere il proprio figlio, anche se il seme del donatore, per esempio, è stato già usato otto o nove volte. “In caso contrario chi ricorre all’eterologa avrebbe uno svantaggio rispetto alle altre coppie, avendo figli con patrimoni genetici completamente diversi tra loro”.

Via: Wired.it

Credits immagine: Emery Co Photo/Flickr

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