“Dopo il Nobel a Edwards, che ha suscitato tanto clamore, oggi siamo noi a essere oggetto di critiche feroci. Ma quella che mi infastidisce di più è quella secondo cui vorremmo far tornare il Far West. Ma se un divieto è ingiusto, come può essere sbagliato rimediare a quella ingiustizia? E cosa c’entra il Far West?”. A Galileo parla la donna che, insieme al marito, si è rivolta al Tribunale di Firenze – tramite gli avvocati Gianni Baldini e Filomena Gallo – per veder riconosciuto il suo diritto ad avere accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (vedi Galileo). Compresa quella, oggi vietata dalla Legge 40, relativa alla fecondazione eterologa, che prevede l’uso di gameti (ovociti o spermatozoi) di donatore.
Secondo l’articolo 4, comma 3, della normativa approvata nel 2004, infatti, è “vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”. Questo significa che chi in Italia soffre di una forma assoluta di sterilità, ha due alternative: rinunciare al proprio desiderio di genitorialità, o andare in esilio per cercare di costruire una famiglia. Oppure, e questa è la strada scelta dalla donna e da suo marito, provare a lottare per vedere riconosciuti i propri diritti.
Tutto è cominciato, racconta la coppia, dopo la sentenza della Corte europea dei Diritti dell’uomo, che nell’aprile 2010 aveva condannato un divieto analogo presente nella legge austriaca. Forte della sentenza, e dopo aver incassato un rifiuto da parte di un centro di medicina riproduttiva del nostro paese, i due si sono rivolti al Tribunale di Firenze per poter accedere alla tecnica. E ora la Corte Costituzionale si dovrà pronunciare sul suo carattere discriminatorio.
“Quando abbiamo saputo che non potevamo avere figli, perché mio marito soffre di azoospermia, la legge 40 era già in vigore” racconta ora la donna. “Volevamo moltissimo un figlio, così abbiamo cominciato ad andare nei centri di Pma di altri paesi. E’ stato molto stressante, e molto costoso: alcune analisi le facevo in Italia, poi volavo oltre frontiera ogni qualvolta il centro mi chiamava. Abbiamo provato in tutti i modi a ottenere una gravidanza, ma non c’è stato niente da fare. D’altra parte, non è certo questa la condizione ideale per fare un figlio”.
Viaggiare oltre confine per avere diritti che in Italia non sono garantiti fa parte del fenomeno che chiamano turismo procreativo (come se si trattasse di una gita di piacere). Fenomeno che coinvolge moltissime persone. Ma che lascia a terra molte altre, tutte quelle che non se lo possono permettere dal punto di vista economico.
“La sterilità è molto diffusa”, continua la donna. “Soltanto dove abitiamo noi, che è un piccolo paese, conosco molte persone che hanno problemi. Molte di queste coppie avrebbero bisogno di accedere alla fecondazione eterologa. Ma sanno bene che non possono far altro che tentare in un altro Paese. Oppure frustrare i propri desideri”.
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