Facce da hacker

A vederli da vicino, gli hacker italiani, sembrano tutto tranne che cattivi. A cominciare dal look, spesso sobrio, anonimo, raramente eccentrico. C’è il quarantenne che ha vissuto il boom informatico italiano degli anni Ottanta e non ha più mollato la presa. Accanto, seduto a discutere, il ragazzino quindicenne che passa le notti a riprogrammare il suo portatile. Di giorno diligenti programmatori, amministratori di rete, studenti, impiegati. Nel tempo libero incalliti “smanettoni” (che è la traduzione letterale del termine “hacker”). Tutti – per lo più persone che non riescono a concepire la propria esistenza senza byte da decifrare e improbabili periferiche da configurare – si sono ritrovati il 18 e 19 marzo scorso a Roma al centro sociale Forte Prenestino, per organizzare il prossimo Hackmeeting, l’incontro ufficiale degli hacker italiani che si terrà sempre nella capitale a metà giugno.

“My crime is that of curiosity” (il mio crimine è la curiosità): questa frase – attribuita a The Mentor, uno dei più bravi hacker statunitensi – descrive il vero sentimento dell’hacker, o di chi aspira a esserlo. Il motore che li spinge all’azione è la curiosità. E la voglia di battersi affinché non esistano informazioni inaccessibili. Seduti a tavola sotto un tendone e circondati dalla mura di quella che fu la piazza d’armi del forte, sdraiati sul prato giocherellando con i cani, tra un caffè e l’altro nei bar del quartiere, nei corridoi del centro sociale ricoperti di graffiti, nella sala da tè, gli hacker italiani hanno delineato quello che probabilmente sarà il programma del meeting di giugno.

Chi si aspetta assalti, intrusioni, crimini e misfatti resterà deluso. I nostri si occuperanno di ben altro. Per esempio ci sarà un seminario sul freesoftware, si parlerà di copyright nel mondo digitale con un’analisi dei problemi giuridiche sollevati. Ma non finisce qui. Ci sarà spazio per un incontro su università e software: “Spesso nei corsi di laurea in Informatica, Scienze dell’informazione, Ingegneria elettronica e Ingegneria informatica”, è scritto in un volantino distribuito durante l’incontro, “gli studenti sono costretti a usare software commerciali e chiusi”. Non si danno alternative concrete di scelta, e spesso i software deputati a “libri di testo” costano molto e non sono liberamente rielaborabili, visto il diritto d’autore onnipresente. In questo modo, di fatto, si nega una vera conoscenza dello strumento che si utilizza e che deve dare allo studente un’adeguata formazione.

Durante l’Hackmeeting verrà anche lanciata una “campagna di disobbedienza civile” proprio contro il “software proprietario a sorgente chiusa”. E ci sarà anche un workshop sull’accessibilità delle risorse web. Si parlerà soprattutto di programmi utilizzati dagli ipovedenti e non vedenti, che consentono loro di leggere pagine web e comunque di farli interagire con i computer. Ma, come al solito, questi programmi costano parecchio. Si cercherà di capire se e come è possibile produrre software di questo genere in ambito “open source”, cioè libero da copyright e quindi gratuito.

Anche se non sembrano cattivi, gli smanettoni italiani mostrano però la stessa diffidenza dei loro colleghi oltreoceano nei confronti dei mass media. Per evitare manipolazioni, fraintendimenti e tutto ciò che reputano cattiva informazione, gli organizzatori hanno programmato una conferenza stampa, uno o due giorni prima del meeting di giugno, in cui verrà distribuito ai giornalisti materiale informativo su cosa è l’hackmeeting, chi è un hacker e l’elenco dei seminari e delle attività durante i tre giorni. Altro fondamentale canale di comunicazione e informativo sarà Radio Cybernet (http://www.kyuzz.org/radiocybernet/), che trasmette unicamente via web, presente già negli scorsi hackmeeting. Impensabile però vedere facce da hacker scorrere nei tiggì: al Forte Prenestino ci sarà il divieto assoluto di accesso per telecamere e macchine fotografiche. Insomma, non saranno cattivi ma sicuramente non amano le luci della ribalta. D’altronde il loro regno è il “dietro le quinte”.

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