Formula anticrimine

Proprio come in una puntata della serie Numb3rs, all’Università della California di Los Angeles (Ucla) hanno messo a punto un modello matematico che simula le dinamiche di aggregazione criminale nelle città, individuando i cosiddetti hot spots del crimine. Il gruppo di ricerca che ha condotto lo studio, in pubblicazione il 2 marzo su Pnas, è costituito dall’antropologo Jeffrey Brantingham, che lavora con il dipartimento di polizia di Los Angeles, da Andrea Bertozzi, direttrice del dipartimento di matematica applicata alla Ucla, dal suo collega Martin Short (che ha guidato la ricerca) e da George Tita, docente di criminologia dell’Università della California di Irvine.

Il modello, costruito a partire dai dati raccolti dalla polizia sul territorio negli ultimi dieci anni, riproduce le dinamiche degli hot spot criminali. Secondo i ricercatori, questi punti caldi si differenziano in due tipi: ci sono hot spot che si generano da piccoli “picchi” che crescono in un’area a bassa densità criminale (super-critical hotspots) e hot spot che nascono in un territorio dove la criminalità è densamente distribuita e tende a centralizzarsi (subcritical hotspots).

Secondo i ricercatori, le azioni anticrimine possono avere effetti molto diversi nei due casi e il modello aiuta a predire se una repressione sarà realmente efficace e duratura o meno. “Se si agisce senza conoscere che tipo di hot spot stiamo affrontando non saremo in grado di predire se si sta soltanto causando uno spostamento dell’hot spot in un’altra zona o se si sta davvero riducendo la criminalità”, ha spiegato Brantingham. Piazzare la polizia in un punto caldo spesso significa semplicemente spingere la criminalità a spostarsi. Alcuni hot spot noti per spaccio di droga e crimini violenti sono stati invece eliminati contro ogni previsione degli analisti.

Con il loro modello, Short e Bertozzi stanno quindi cercando di predire come un hot spot risponderà a un aumento delle azioni di repressione e si rifà a quella che in matematica è chiamata ‘Teoria della biforcazione’, secondo cui un algoritmo può presentare, in diversi punti, due soluzioni ugualmente probabili, ed è impossibile stabilire quale delle due opzioni si rivelerà vera. “Abbiamo fatto quello che i biologi e gli ingegneri fanno da tempo: studiare i comportamenti e cercare di capire i meccanismi e le dinamiche del sistema”.

Ma quanto può essere attendibile un modello matematico applicato alla criminologia? “Il problema è nei dati di partenza”, risponde a Galileo Ernesto Savona, direttore del Transcrime – centro di ricerca sul crimine dell’Università di Trento e della Cattolica del Sacro Cuore di Milano – che ha da poco realizzato, con il Ministero dell’Interno, Ris.I.C.O 1.1, un software che permette di stimare il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti pubblici. “Più i dati sono precisi, più le previsioni del modello sono probabili. I modelli previsionali di cui stiamo parlando sono già conosciuti; la particolarità di questo è il dettaglio dei dati. In questo l’Italia è svantaggiata rispetto agli Usa. Ma se il Ministero dell’Interno, come ha promesso, ci fornirà dati più precisi riguardo all’organizzazione del crimine sul territorio, potremo portare avanti un lavoro simile a quello dei colleghi americani. Per ora è come se avessimo una potente macchina per correre ma ci mancasse l’autostrada per farlo”. (m.s.)

Riferimento: Ucla

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