Fotovoltaico quantistico sempre più efficiente

Aumentare l’efficienza delle innovative celle solari basate sulla fisica dei quanti. É l’obiettivo dei ricercatori dell’Università di Toronto, della King Abdullah University of Science & Technology (KAUST, Arabia Saudita) e dell’Università della Pennsylvania, che sembrano aver trovato una strada. In uno studio pubblicato su Nature Materials,gli scienziati spiegano come siano riusciti a realizzare la più efficiente cella solare che sfrutta i punti quantici colloidali (colloidal quantum dots, CQD), una tecnologia che potrebbe essere presto disponibile sul mercato. 

Nel fotovoltaico quantistico la conversione della radiazione luminosa in energia avviene per mezzo di semiconduttori dell’ordine del nanometro (un miliardesimo di metro), noti come punti quantici in soluzione colloidale. Un colloide è una sostanza formata da due materiali in fasi diverse, e si trova in uno stato che è a metà tra una soluzione (come acqua e sale) e una dispersione (come i piccoli pezzi di polpa di frutta che galleggiano in un succo). Nella tecnologia sviluppata dai ricercatori, i semiconduttori vengono mischiati insieme a un’altra sostanza (di solito organica) proprio come se fossero le particelle di acqua sospese in aria nella nebbia, o quelle d’aria nella panna montata.

Uno dei vantaggi di usare punti quantici in soluzione colloidale è la possibilità di mescolare insieme quantum dot di diversa grandezza: in questo modo le celle fotovoltaiche possono assorbire più lunghezze d’onda e dunque estrarre più energia dal sole. Inoltre, disporre di singole unità funzionali così piccole presenterebbe un ulteriore vantaggio, perché permetterebbe di rivestire con elementi fotosensibili le superfici flessibili, riducendo i costi e aumentandone la durata rispetto alle celle al silicio.

Al confronto con queste, però, le celle solari CQD sono meno efficienti nel convertire la radiazione luminosa in energia (circa 4-5% contro il 17% di quelle al silicio). Uno dei limiti di questa efficienza energetica è rappresentato dall’ingombro spaziale dei rivestimenti dei quantum dots usati per creare la soluzione colloidale: la copertura organica occupa circa uno-due nanometri, e questo a livello nanoscopico può rappresentare un problema. Una delle strategie per accrescere l’efficienza sarebbe quella di aumentare la densità di quantum dot nella soluzione, diminuendo la distanza tra i singoli componenti, ma il rivestimento organico pone dei limiti spaziali. Per superare questo problema, i ricercatori hanno pensato di sostituire i rivestimenti tradizionali con materiale inorganico, formato da un singolo strato di atomi (ioni di elementi alogeni). Gli scienziati hanno quindi assemblato una cella solare basata sui nuovi CQD e sono passati alla fase di test, registrando un’efficienza di conversione dell’energia solare pari al 6%, maggiore di qualsiasi altra cella basata sui CQD.

“Questa nuovo metodo di rivestimento avrà degli impatti non solo sulla produzione di celle solari, ma anche su altri dispositivi elettronici e di elettronica ottica che utilizzano i nanocristalli colloidali”, ha affermato Dmitri Talapin esperto di CQD dell’Università di Chicago. La tecnologia messa a punto dai ricercatori verrà ora trasferita a livello industriale, grazie alla collaborazione delle università con la Mars Innovation di Toronto.

Riferimenti: Nature Materials (2011) doi:10.1038/nmat3118

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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