Fu vera gloria?

Con le Olimpiadi alle porte, i recenti casi di doping fanno ancora più scalpore. Ma non è certo un fenomeno che riguarda solo il nostro paese. Negli ultimi mesi, infatti, sono stati colti in fallo, tra gli altri, atleti greci, bulgari, statunitensi. A Pechino verranno eseguiti circa 5mila controlli per verificare l’uso di sostanze illegali, record nella storia dei Giochi. Ma questi test sono davvero affidabili? Secondo Donald Berry, biostatistico dell’Università del Texas e autore di un articolo appena uscito su Nature, tutti gli studi effettuati finora dalla comunità scientifica non bastano a garantire l’affidabilità dei controlli antidoping. “Se i convenzionali esami fossero sottoposti al vaglio di un’agenzia come la Food and Drug Administration degli Usa”, sostiene Berry, “non sarebbero accettati come test diagnostici”. Inoltre, la positività a un controllo (o a una serie di controlli), secondo l’autore, non dovrebbe in generale decretare la colpevolezza di un atleta, quanto un aumento della probabilità che abbia usato sostanze illegali.

Gli attuali controlli verificano la presenza di una particolare sostanza in grado di aumentare le prestazioni di uno sportivo, grazie a complesse analisi che si svolgono su sangue, urine, capelli e saliva. Ogni test comporta un margine di errore che ne determina l’affidabilità e che deve essere tarato su un vasto campione, per stimare correttamente la percentuale di falsi positivi (doping erroneamente rilevato) e negativi (doping non rilevato dal test, anche se presente). Questo tipo di ricerca, secondo Berry, non è stata sottoposta al giudizio della comunità scientifica e, dunque, i risultati dei laboratori autorizzati dalla World Anti-Doping Agency (Wada) sarebbero in dubbio.

Leggermente diversa la posizione di Santo Davide Ferrara, docente di Medicina legale e tossicologia forense e direttore dell’Unità operativa complessa di Tossicologia forense e antidoping presso l’Università di Padova: “Ho piena fiducia nei risultati dei laboratori accreditati. Lavorano bene ma è vero che, da un punto di vista scientifico, dovrebbe essere garantita una maggiore apertura del sistema antidoping al vaglio del mondo della ricerca”. Soprattutto nel caso di molecole che sono prodotte naturalmente dal corpo umano, come il testosterone, che aumenta la massa muscolare ed è presente, in quantità variabile, in ogni persona. “Ognuno ha una sua storia personale, cui partecipano i geni e l’ambiente. Solo grazie a un’analisi comparativa che tenga conto della variabilità della persona e della popolazione”, spiega Ferrara, “si può determinare l’uso di una certa sostanza”.

Ma anche gli studi condotti su ampi gruppi cui vengono somministrate sostanze dopanti e che sono poi confrontati “alla cieca” da tecnici con  procedure standardizzate, secondo Berry, non sarebbero ancora sufficienti. “Ricerche simili a quelle cui si riferisce Berry”, sostiene Ferrara, “sono state eseguite dalla Wada, ma i risultati non sono accessibili. Questo va contro i principi in vigore nel mondo scientifico, soprattutto quello della trasparenza”. Una percentuale di errore nei risultati sarà sempre presente, ma la collaborazione tra scienziati e agenzie di controllo potrebbe almeno garantire una maggiore sicurezza nello stabilire i confini di un fenomeno sommerso, in cui i progressi nei test anti-doping e nelle nuove sostanze si rincorrono a vicenda.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here