Categorie: AmbienteSalute

Fukushima: la mappa dell’inquinamento radioattivo

Ormai è chiaro: il disastro di Fukushima ha una portata che va ben al di là dei reattori danneggiati dal sisma dell’11 marzo, e che oggi sono stati racchiusi nei sarcofagi di cemento. Per mesi, l’attenzione degli esperti e della comunità scientifica è stata rivolta alla Tepco e ai suoi tentativi di mettere in sicurezza l’impianto di Fukushima. Ma ora, passata l’emergenza, c’è tempo di analizzare con più calma le conseguenze provocate dalla catastrofe nell’ambiente circostante. Era già chiaro che l’incidente alla centrale nucleare avesse disperso nell’ambiente grandi quantità di elementi radioattivi potenzialmente dannosi per la salute umana. Ora arrivano due studi – pubblicati su Pnas – che cercano di tracciare le prime mappe di questa contaminazione.

Il primo lavoro è stato coordinato da Norikazu Kinoshita dell’Università di Tsukuba, e comprende lo studio della dispersione di alcuni radionuclidi tra cui cesio, iodio, tellurio e stronzio. Tra marzo e maggio, il team di Kinoshita ha raccolto diversi campioni di suolo sparsi in alcune zone del Giappone centro-orientale. L’area maggiormente contaminata dal fallout radioattivo seguito all’esplosione dei reattori nucleari sembra essere quella compresa tra le prefetture di Fukushima, Iitate e Naka-Dori.

L’assorbimento dei radionuclidi da parte del terreno è stata accelerata dalle forti precipitazioni che hanno investito il Giappone tra il 15 e il 16 marzo. Gli scienziati stimano che il 90% dei composti radioattivi dispersi in aria sia stato trasportato a terra dalle piogge, contribuendo a registrare livelli di contaminazione oltre la media. Le misurazioni effettuate dagli scienziati giapponesi sono infatti fino a 130 volte superiori rispetto ai valori annui registrati nel periodo degli anni ’50-’60, quando persistevano ancora gli effetti residui dei test nucleari condotti in atmosfera.

Per quanto riguarda il cesio-137 (un composto molto pericoloso, dato che permane nell’ambiente per 30 anni prima di dimezzare la propria radioattività), l’equipe di Kinoshita ha calcolato un deposito di massimo 900 kBq∕m2 nell’area centro-orientale. Tuttavia, va ricordato che i valori registrati dagli scienziati giapponesi oscillano in un range molto ampio (il minimo riscontrato è di 0,4  kBq∕m2) e varia fortemente in base alla conformazione geografica del territorio.

Proprio qui entra in gioco il secondo studio pubblicato su Pnas da Teppei Yasunari, del Goddard Earth Sciences Technology and Research Center. L’equipe guidata dallo scienziato giapponese ha impiegato il modello teorico Flexpart per stimare le dinamiche di dispersione dei contaminanti radioattivi sul territorio.

Confrontando le concentrazioni rilevate a terra con scenari computerizzati che simulavano le ipotetiche condizioni di trasporto, deposizione e decadimento dei radionuclidi, gli scienziati hanno costruito delle mappe di diffusione del cesio-137 che abbracciano l’intero Giappone e il settore di Oceano Pacifico su cui si affacciano le sue coste orientali. In base ai modelli teorici, le prefetture più colpite dal fallout sarebbero quelle di Fukushima, Miyagi e Ibaraki, Iwate, Yamagata, Tochigi e Chiba.

Nel periodo compreso tre il 20 marzo e il 19 aprile 2011, si stima che sulle diverse aree si siano depositati tra i 10 e i 100 kBq∕m2 di cesio-137. L’area più colpita sarebbe quella a nordovest della centrale di Fukushima, dove i depositi di cesio-137 ammonterebbero a 600  kBq∕m2. Un bel problema per tutte le aree rurali situate nelle zone che sono state colpite dal fallout.

Infatti, la legge giapponese impone un limite massimo alla concentrazione totale di cesio-137 e cesio-134 nel suolo (5000 Bq/kg) oltre il quale scatta il divieto assoluto di coltivare piante destinate all’alimentazione umana. Secondo le stime del team di Yasunari, la prefettura di Fukushima sarebbe già oltre il valore soglia, mentre quelle di Miyagi, Tochigi e Ibaraki si attesterebbero poco al di sotto del limite massimo.

Grazie alle indicazioni fornite da queste mappe, le autorità giapponesi potrebbero avviare dei programmi di bonifica e recupero delle aree maggiormente contaminate. L’esperienza di Chernobyl ha insegnato agli scienziati che gli elementi radioattivi come il cesio-137 permangono negli strati superficiali del terreno anche per cinque o sei anni. Uno scenario che, rievocato in Giappone, danneggerebbe irrimediabilmente il settore agricolo del paese.

Credit immagine: kawamoto takuo

Lorenzo Mannella

Si occupa di scienza, internet e innovazione. Laureato in Biotecnologie presso l'Università di Pisa, ha frequentato il master SGP in comunicazione scientifica presso Sapienza Università di Roma. Collabora con Galileo dal 2011. Scrive per Wired, Sapere e L'Espresso.

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  • Ho letto che il maremoto è stato provocato artificialmente dopo una regolare minaccia, che la centrale ha resistito egregiamente ma poi è stata sabotata nei controlli elettronici, che ciò che è sfuggito di mano è stata la gestione del materiale radioattivo bellico stoccato nella centrale, che le parole dei governi sono pilotate, che si potrebbero fare scelte energetiche che porterebbero alla pace del mondo ma che non si fanno per interesse di pochi che non sanno neanche chi sono, che fanno e perchè. Gradirei delle smentite documentate ed articolate tecnicamente come queste affermazioni perchè i documenti ci sono e sono pubblici.
    Tommaso

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