Fukushima, le nuove verità della Tepco

Lo abbiamo saputo solo ora, perché solo ora la Tepco – la Tokyo Electric Power Company che gestisce la centrale di Fukushima – ha reso pubblici dei nuovi rapporti relativi allo tsunami dell’11 marzo. Così, il 15 maggio il mondo ha potuto conoscere una versione  diversa da quella diffusa all’inizio: e cioè che durante il sisma, nei reattori 1, 2 e 3 è stata sfiorata la fusione completa delle barre di uranio. Tutto sarebbe successo poche ore prima che il sistema di raffreddamento d’emergenza fosse messo fuori uso dall’onda distruttiva.

Secondo quanto si legge, dunque, il terremoto aveva danneggiato le linee elettriche della centrale un’ora prima dell’arrivo dello tsunami che avrebbe poi sommerso i generatori diesel di emergenza. Con tutti i sistemi di controllo fuori uso, l’uranio avrebbe dunque iniziato a surriscaldarsi, fino a raggiungere la soglia critica dei 2800°C. A questa temperatura, le barre di combustibile avrebbero iniziato a fondersi, colando nella parte inferiore dei tre reattori. In seguito, la fuga ad alta pressione di gas di idrogeno avrebbe innescato una violenta esplosione che ha danneggiato ulteriormente le strutture.

Come sappiamo, per i due mesi successivi la Tepco ha cercato di abbassare la temperatura delle barre di uranio pompando grandi quantità di acqua marina all’interno dei reattori. Ma le nuove rivelazioni mostrano tutti i lati negativi di questa strategia: i tecnici avrebbero infatti scoperto numerose falle alla base del reattore. Il timore è che buona parte del combustibile radioattivo – soprattutto quello del reattore 1 – sia ormai fuoriuscito dal basamento della centrale e sia arrivato fino al mare.

Per superare questi problemi, la società giapponese si è vista costretta a modificare in parte il piano tecnico per la messa in sicurezza della centrale: l’obiettivo è quello di costruire un nuovo sistema di raffreddamento a ciclo chiuso per ridurre le perdite d’acqua. In questo modo, verrebbe semplificata la gestione dei grandi volumi di liquido contaminato che vengono attualmente pompati fuori dai reattori surriscaldati. I serbatoi di stoccaggio della centrale non sono in grado di ospitare tutto il carico in uscita e, finora, l’unica soluzione adottata di tecnici è stata quella di sversare in mare ben 12 mila tonnellate d’acqua radioattiva.

Questi nuovi lavori verranno realizzati grazie al contributo del governo giapponese, che ha annunciato una manovra finanziaria per sostenere economicamente la Tepco. L’aiuto è mirato soprattutto a evitare il rischio di bancarotta per l’azienda di Tokyo, letteralmente sommersa dalle richieste di risarcimento da parte del settore pubblico e privato. Con il sostegno economico del governo, dunque, i tecnici cercheranno di raffreddare completamente il combustibile radioattivo contenuto nei reattori entro gennaio 2012, in modo da poterlo trasferire in un luogo più sicuro.

La costruzione di questi nuovi impianti di raffreddamento peserà interamente sulle spalle dei 630 operai specializzati già impegnati a contenere i danni subiti dalla centrale. Ma il prolungamento dei lavori potrebbe costituire un rischio ancora più elevato per la loro salute. E forse non basteranno le maschere e le tute di protezione già a loro disposizione, visto che nei corridoi che portano ai reattori, alcuni robot teleguidati hanno rilevato livelli di radiazione pari a 2000 millisievert per ora (mSv/h). In condizioni tanto estreme, un essere umano subirebbe gravi danni all’organismo dopo appena pochi minuti di permanenza. Ciò nonostante, l’unica decisione presa dal Ministero della salute giapponese è stata quella di innalzare da 100 a 250 mSv il limite massimo di radiazioni a cui possono esporsi gli operai nel corso di un anno.

Nel frattempo, il 14 maggio scorso, l’impianto di Fukushima ha conosciuto la sua prima vittima sul lavoro. Un operaio di 60 anni, svenuto improvvisamente nel corso delle operazioni, è morto poche ore dopo l’arrivo in ospedale. E anche se i medici non hanno riscontrato livelli di radioattività anomali nell’organismo, attribuendo le cause del decesso a un infarto, il fatto ha accresciuto la tensione già alta tra le squadre di tecnici dell’impianto. Nei giorni seguenti, molti degli operai hanno denunciato la mancanza di misure precauzionali necessarie a tutelare la loro salute. Fino ad oggi, solo il 10 per cento dei lavoratori avrebbe effettuato i test per valutare la contaminazione delle vie respiratorie. In condizioni di lavoro così incerte, i tecnici potrebbero avere serie difficoltà a completare la costruzione dei nuovi impianti di decontaminazione delle acque di raffreddamento, necessari per la messa in sicurezza dei reattori.

Lorenzo Mannella

Si occupa di scienza, internet e innovazione. Laureato in Biotecnologie presso l'Università di Pisa, ha frequentato il master SGP in comunicazione scientifica presso Sapienza Università di Roma. Collabora con Galileo dal 2011. Scrive per Wired, Sapere e L'Espresso.

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