Fusione nucleare, nuovo record europeo nella produzione di energia

Fusione nucleare

Raggiunto un risultato storico nel campo della produzione di energia tramite fusione nucleare. I ricercatori del consorzio Eurofusion, una grande collaborazione scientifica che riunisce circa 5mila esperti di tutta Europa ed è co-finanziata dalla Commissione europea, hanno infatti appena annunciato di essere riusciti a produrre 59 megajoule di energia, record assoluto nel settore, nell’impianto Joint European Torus (Jet) di Oxford, nel Regno Unito. Il risultato, completamente in linea con le previsioni teoriche, dimostra, stando a quanto dichiarano i responsabili del progetto, “il potenziale della fusione nucleare come fonte di energia sicura, efficiente e a bassa emissione di anidride carbonica”.

Negli ultimi vent’anni, i ricercatori hanno portato avanti una campagna sperimentale per ottimizzare il reattore alla luce dell’avanzamento della conoscenza scientifica nel campo della fusione nucleare, che evidentemente ha dato i suoi frutti. A guardare i numeri, infatti, l’impresa appena centrata dal consorzio europeo fa davvero impressione. Il record precedente, raggiunto sempre nello stesso reattore nel 1997, si era attestato su una produzione di energia di 21,7 megajoule

L’obiettivo finale, reso più vicino e realistico dal risultato di oggi, è quello di far confluire le attività di Jet in un progetto ancora più grande, il cosiddetto Iter, con sede nel sud della Francia e cui partecipano, oltre che l’Unione europea, anche IndiaGiapponeCorea del SudRussia e Stati Uniti, che ha l’obiettivo di consolidare ulteriormente la fattibilità pratica della fusione nucleare come sorgente per la produzione di energia su larga scala. Se tutto dovesse andare come previsto, Iter potrebbe essere completamente operativo, a regime, nel 2035.

Cos’è la fusione nucleare…

Piccolo ripasso di fisica. La fusione nucleare, come suggerisce il nome, è il processo che avviene quando due (o più) nuclei atomici si combinano insieme per formare un atomo più grande e pesante. L’atomo risultante dalla fusione ha una massa leggermente minore rispetto alla somma degli atomi di partenza, e questa differenza di massa, durante il processo, si trasforma in energia (in accordo con la famosa equazione di Einstein E=mc2, che sancisce l’equivalenza tra massa ed energia). La fusione nucleare avviene molto frequentemente in natura, anche se piuttosto lontano da noi: è infatti proprio tramite la fusione nucleare che le stelle producono energia, fondendo tra loro i nuclei di idrogeno per formare atomi di elio (e poi atomi sempre più pesanti, man mano che si “esaurisce” la riserva di idrogeno durante il ciclo di vita della stella).

Il problema è che i nuclei degli atomi sono composti di protoni e neutroni, cioè particelle, rispettivamente, dotate di carica positiva e senza carica. E, dal momento che tra particelle dotate della stessa carica la forza elettrica è di tipo repulsivo, i nuclei atomici tendono ad allontanarsi l’uno dall’altro: perché si fondano, è necessario vincere questa forza repulsiva. Nelle stelle il processo avviene facilmente a causa della loro enorme massa, che genera potentissime forze gravitazionali in grado di esercitare pressioni estreme sui nuclei atomici, e della loro altissima temperatura

Ma sulla Terra, a pressioni e temperature “umane”, fondere i nuclei atomici è molto più difficile – si tratta, in sostanza, di “replicare” una stella in laboratorio. Lo stato della materia caratteristico delle reazioni di fusione nucleare è il cosiddetto plasma, una specie di gas caldissimo ed elettricamente carico composto di ioni positivi ed elettroni che vi si muovono liberamente. Il plasma è molto difficile da produrre e controllare in laboratorio, perché deve essere scaldato ad altissime temperature ed è soggetto a diversi tipi di instabilità (si raffredda e si disgrega molto facilmente e molto rapidamente)

Due precisazioni: uno, la fusione di cui abbiamo appena parlato non va confusa con il fenomeno che sta all’estremo opposto dello spettro, ossia la fissione nucleare (quello che sta alla base del funzionamento di tutti i reattori attualmente utilizzati per la produzione di energia): in quel caso, si parte da nuclei molto pesanti (e anche, ahinoi, molto radioattivi) e li si “rompe” in nuclei più leggeri, raccogliendo l’energia che si libera nel processo. Rispetto alla fissione, la fusione produce più energia e soprattutto non coinvolge elementi radioattivi, il che la rende, almeno in teoria, molto più efficiente e pulita. Due, non va confusa neppure con la cosiddetta fusione fredda, che è invece il tentativo (al momento ancora infruttuoso, sebbene qualcuno abbia asserito di esserci riuscito) di realizzare la fusione nucleare a temperatura ambiente.

…e come stiamo cercando di ottenerla

Come ha ricordato Vox, ci sono diversi approcci sperimentali con cui la comunità scientifica sta cercando di ottenere la fusione nucleare. Il primo – quello, tra l’altro, usato nel reattore Jet – è il cosiddetto confinamento magnetico, il cui principio è quello di cercare di mantenere lo stato di plasma usando dei magneti, e quindi di riscaldarlo usando una combinazione di microondeonde radio e fasci di particelle. I reattori che utilizzano questo approccio sono i cosiddetti tokamak, macchine a forma di ciambella inventate in Unione Sovietica all’inizio degli anni Cinquanta. 

Un’altra possibilità è il cosiddetto confinamento inerziale, usato, per esempio, al National Ignition Facility (Nif) di Livermore, in California. In questo caso si utilizzano diversi fasci laser – il Nif ne usa addirittura 192 – che vengono diretti su un piccolo bersaglio d’oro, che a sua volta si vaporizza ed emette raggi X. I raggi X riscaldano e comprimono il combustibile, una specie di pellet di idrogeno, che finalmente si converte in plasma; una piccola porzione di plasma si fonde in elio, cedendo energia e neutroni per una frazione di secondo. 

L’impresa di Jet ed Eurofusion

L’esperimento Jet, che come appena detto sfrutta il principio del confinamento magnetico, consiste in un reattore di tipo tokamak in grado di fondere deuterio e trizio, due isotopi dell’idrogeno, portando il plasma alla temperatura di circa 150 milioni di gradi centigradi, dieci volte maggiore di quella del centro del Sole. E la novità è che è stato in grado di produrre 59 megajoule di energia tramite fusione durante una finestra temporale di cinque secondi (l’intera durata dell’esperimento di fusione), il che equivale a una potenza di circa 11 megawatt.

Come già accennato, il risultato non è importante solo per i numeri in sé, ma anche perché rappresenta un test fondamentale per la fattibilità di Iter, il cui principio di funzionamento è molto simile a quello di Jet. “Il fatto che siamo riusciti a sostenere la fusione di deuterio e trizio e portarla a questo livello di potenza, quasi su scala industriale – ha commentato Bernard Bigot, direttore generale di Iter – è una conferma molto solida per tutti quelli che lavorano nel campo della fusione nucleare. I risultati di Jet ci danno molta fiducia per proseguire nel progetto Iter, mostrandoci che siamo sulla strada giusta verso la dimostrazione della possibilità di ottenere energia mediante fusione nucleare”.

La strada è ancora molto lunga

Per avere ulteriori chiarimenti sul tema, e soprattutto per capire come, se e quando questo risultato avrà un impatto concreto sulla produzione di energia, Wired ha chiesto lumi a Paola Batistoni, responsabile della Sezione sviluppo della fusione per l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea). “Le principali novità di questo esperimento sono due – ha spiegato -. Anzitutto, la quantità di energia generata, oltre il doppio rispetto al record del 1997. E poi, forse ancora più importante, il fatto che siamo riusciti a mantenere il plasma stabile e ad alti livelli di fusione per cinque secondi. Può sembrare un tempo molto breve, ma non lo è se si tiene conto che i tempi caratteristici di mantenimento del plasma sono dell’ordine delle frazioni di secondo”. 

Questo risultato rappresenta il massimo possibile per Jet. “Jet è una macchina costruita diversi decenni fa, e la sua tecnologia comincia a diventare ormai obsoleta. I suoi magneti, necessari per il confinamento del plasma, sono di rame, e per ragioni costruttive non possono lavorare per più di cinque secondi”, continua Batistoni: “Dunque siamo riusciti ad arrivare al limite superiore di funzionamento di Jet, e possiamo dire che tutto ha funzionato bene”. Questo, naturalmente, non vuol dire che la macchina ha finito il suo lavoro. “Abbiamo ancora un’enorme quantità di dati da analizzare, tutti quelli sfornati da Jet in questi anni, e inoltre dobbiamo esplorare nuovi regimi di produzione e confinamento del plasma: Jet lavorerà ancora almeno fino al 2023”, prosegue l’esperta.

Il futuro, comunque, è Iter. E a quello guardano con rinnovata soddisfazione e fiducia gli scienziati. “Iter è dotato di magneti superconduttori – spiega ancora Batistoni – il che ci darà la possibilità, auspicabilmente, di mantenere lo stato di fusione per tempi molto più lunghi. L’obiettivo ultimo, quando la macchina sarà a regime, verso la metà del prossimo decennio, è di arrivare a 500 megawatt di potenza per decine di minuti, o addirittura per ore. Vogliamo moltiplicare la potenza di un fattore 10”.

Schema del reattore Iter. Credits: Collaborazione Iter

E poi? La strada è ancora molto lunga, dal momento che tutti gli esperimenti condotti finora puntano a dimostrare la possibilità di produrre e sostentare la fusione nucleare nel plasma, ma al momento l’energia prodotta con la fusione è sempre stata inferiore a quella necessaria a confinare il plasma. “La risposta a questa domanda ce la daranno i risultati di Iter – dice Batistoni -. Il reattore dovrà essere in grado di autosostentarsi, ossia di usare parte dell’energia della fusione per mantenere lo stato di plasma e rendere possibili, quindi, altre reazioni di fusione: in altre parole, bisognerà verificare che effettivamente si riesce ad avere un guadagno netto di potenza”. E non solo: bisognerà anche sviluppare, in parallelo, tutte le tecnologie per trasformare effettivamente la potenza prodotta in energia elettrica, e per metterla in rete. “La roadmap europea per l’energia di fusione – conclude Batistoni – prevede il proseguimento delle sperimentazioni di Iter e, in parallelo, lo sviluppo di tutta la tecnologia necessaria a mettere in piedi l’intera filiera necessaria alla conversione e alla messa in rete dell’energia elettrica”. Secondo le stime, il tutto potrebbe essere pronto verso la metà del secolo. Staremo a vedere.

Via: Wired.it
Credits immagine: Roland Larsson/Unsplash