Galileo Galilei nel pensiero di Thomas Khun

Due avvenimenti importanti, la decisione della Santa Sede di pubblicaretutti i documenti del processo del 1633 esistenti nei suoi archivi, (1)e il Giubileo galileiano del 1992 che ha festeggiato quattrocento anni di scienza moderna, hanno riacceso l’interesse sia nel grande pubblico che presso gli scienziati per la vita e l’opera di Galileo Galilei.
Sul piano della storia della scienza, negli ultimi venti anni, il contributo scientifico di Galilei è stato rivalutato da una serie di lavori nei quali si analizzano i progressi della scienza medievale nei campi dove Galilei ha apportato contributi decisivi (2 e 3),o dove la rivoluzione intellettuale di Galilei è vista in una nuova prospettiva (4 e 23). Quindi, parte dei giudizi espressi nei lavori classici su Galilei devono essere riconsiderati, insieme ai lavori basati su di essi. Questo articolo è dedicato all’analisi galileiana nell’opera di Thomas S. Kuhn. Kuhn è considerato uno dei più influenti storici e filosofi della scienza degli ultimi tre decenni, e il suo libro su “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” (10), uscito più di trent’anni fa, ha suscitato all’inizio forti reazioni pro e contro. Paragonato per importanza al libro di Popper “La logica della scoperta scientifica” (17), uscito nell’edizione originale nel 1934, il libro di Kuhn ha generato un nuovo orientamento sociologico-storico, opposto alla linea tradizionale di ricostruzione logica della scienza fatta dalle scuole di Popper o Carnap.

La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Khun

La struttura delle rivoluzioni scientifiche propone una teoria sistematica sulla natura e la dinamica della scienza, della quale devono tenere conto anche gli appartenenti alle altre correnti di pensiero storico e filosofico. I principali concetti di Kuhn sono quelli di paradigma (modelli standard di pratica scientifica), comunità scientifica disciplinare, scienza normale (quella che si pratica durante l’intervallo di relativa stabilità fra due rivoluzioni), attività di risoluzione dei problemi “rompicapo”,anomalia, crisi, scienza straordinaria, rivoluzione scientifica, incommensurabilità,e conversione sul nuovo paradigma. Tra le fasi della ricerca descritte da queste nozioni esistono passaggi “naturali”, di tipo quasi ciclico,che nella concezione di Kuhn costituiscono la logica dell’evoluzione della scienza. Essenzialmente, quella di Kuhn è una teoria gestaltico-sociologica”microscopica”, nella quale s’intende fare ricorso alla storia in maniera dettagliata, al fatto storicamente provato, alle fonti primarie ed anche alla psicologia individuale e di gruppo.
Benché Kuhn non abbia limitato esplicitamente la sua teoria a certi momenti storici o campi della scienza (nel senso anglosassone della parola), col tempo è diventato chiaro che essa si può applicare solamente alle scienze fisico-chimiche.

Khun e la rivoluzione del ‘600

Il presente lavoro intende mostrare quali siano le difficoltà che si incontrano quando si vuole interpretare la rivoluzione del ‘600 nei termini di Kuhn, specialmente per quanto riguarda il contributo di Galileo Galilei. Di tali difficoltà si è reso conto lo stesso autore della “Struttura delle rivoluzioni scientifiche”, che fa più riferimento a Galilei nel suo libro successivo, La tensione essenziale (11),completando o riprendendo aspetti del suo discorso iniziale. Una delle osservazioni che si possono fare a Khun è che nei suoi lavori (10 e 11) si limita a discutere il contributo di Galilei alla meccanica. Tale scelta non trova completa giustificazione nel fatto che l’autore americano abbia precedentemente dedicato un libro alla rivoluzione copernicana (20). Infatti, come vedremo, anche lì Galilei non riceve un trattamento adeguato. Le scoperte meccaniche di Galilei furono non meno fondamentali per la rivoluzione scientifica del ‘600 di quelle astronomiche, che però ebbero una risonanza più immediata perché contribuirono al crollo del dogma aristotelico, mentre l’importanza di quelle meccaniche è venuta alla luce solamente più tardi,dopo il contributo di Newton. Un valutazione di tipo kuhniano doveva tenere conto di questo fatto.
Come risulta dalla Tensione essenziale, l’approccio di Kuhn a Galilei è stato per la maggior parte influenzato (se non mediato) dagli scritti di Alexandre Koyré, uno dei più noti esegeti di Galilei. Lo stesso Koyré è riconsciuto da Khun (11) come uno che più di ogni altro storico, è stato il mio maestro. Rispetto a Koyré, più profondo e articolato, Kuhn nell’analisi di Galilei rappresenta un passo indietro. Nonostante ciò, studi più recenti, (4 e 23) hanno criticato alcuni aspetti dei lavori di Koyré ripresi da Kuhn; così, almeno per il caso di Galilei, gli argomenti di Kuhn debbono essere attentamente esaminati.

Thomas Kuhn tra Aristotele e Galilei

La rivoluzione del ‘600 è caratterizzata dal distacco dal dogma aristotelico, dovuto in grande misura agli scritti ed alle scoperte di Galilei. Studiando le origini della meccanica del ‘600, Kuhn affronta per prima la Fisica di Aristotele, per capire quali fossero le conoscenze dei predecessori di Galilei e di Newton e degli stessi scienziati all’inizio del loro lavoro. Interpretando la storia della scienza nella maniera tradizionale, dal punto di vista newtoniano, si può arrivare alla conclusione che “anche al livello che sembrava puramente descrittivo gli aristotelici avevano conosciuto poco della meccanica: molto di ciò che avevano avuto da dire era chiaramente sbagliato. Una tradizion ecome questa non poteva aver fornito alcun fondamento al lavoro di Galileoe dei suoi contemporanei. Essi necessariamente la rifiutarono e ricominciarono lo studio della meccanica dall’inizio”. (12).Seguendo Kuhn, questa conclusione è imbarazzante, visto che “nello studio di discipline che non fossero la fisica, Aristotele era stato uno sservatore acuto e realistico e la sua interpretazione dei fenomeni erastata sovente sia accurata che profonda”(12).La spiegazione trovata da Kuhn è che Aristotele debba essere lettoin modo alternativo: “l’argomento di Aristotele era il mutare della qualità in generale, comprendendo sia la caduta di una pietra che il passaggio dalla fanciullezza alla maturità. […] In un mondo nel quale sono primarie le qualità, il moto era necessariamente un mutamento di stato piuttosto che uno stato” (13).

Con questa nuova lettura ermeneutica, Kuhn giunge alla conclusione che il passaggio da Aristotele alla nuova scienza fu il risultato di un “mutamento dell’atteggiamento mentale arrivato ad uomini come Galilei e Descartes,che fondarono la meccanica del XVII secolo e che crebbero nell’ambito della tradizione aristotelica che ha dato contributi essenziali ai loro risultati“.(14) Kuhn non presenta nessun esempio di nuova lettura del testo aristotelico fatta da Galilei; anzi, offre solamente un’interpretazione di Galilei letto di nuovo da Newton con la nuova prospettiva del concetto di forza, inesistente nel pensiero dello scienziato italiano. Di fatto,il nuovo modo di leggere Galilei è quello conosciuto, che ignora la nozione aristotelica di qualità.
Senza rinunciare a combattere l’aristotelismo, comprese le teorie erroneo insufficienti, ma anche senza indicare in cosa consista esattamente il contributo essenziale di Aristotele nella sua formazione intellettuale,Galilei invoca il filosofo greco a sostegno dei suoi argomenti collegati coi cambiamenti del cielo, facendo dire a Salviati: “Ma per dar soprabbondante soddisfazione al Sig. Simplicio e torlo, se è possibile, di errore,dico che noi aviamo nel nostro secolo accidenti ed osservazioni nove e tali, ch’io non dubito punto che se Aristotile fusse all’età nostra, muterebbe opinione. Il che manifestamente si raccoglie dal suo stesso modo di filosofare: imperocché mentre egli scrive di stimare i celi inalterabili etc.;perché nessuna cosa nuova si è veduta generarvisi a dissolvere delle vecchie, viene implicitamente a lasciarsi intendere che quando e gli avesse veduto uno di tali accidenti, avrebbe stimato il contrario ed anteposto,come conviene, la sensata esperienza al natural discorso, perché quando e’ non avesse voluto fare stime de’ sensi, non avrebbe, almeno dalnon si vedere sensatamente mutazione alcuna, argumentato l’immutabilità” (7).
Quindi Galilei attribuisce ad Aristotele l’idea del primato della sensata esperienza al natural discorso, con il quale il fisico italiano è, senza dubbio, d’accordo. Inoltre, l’idea aristotelica dell’inalterabilità dei cieli si crede dovuta alla mancanza, ai tempi di Aristotele, dei tali accidenti, che invece sono abbondanti all’età nostra. Credeva realmente Galilei che i mutamenti fossero una cosa riservata al ‘600? Lui conosceva,tuttavia, le osservazioni di tali accidenti (stelle nuove, comete) fatte nei secoli precedenti (da Ticone per esempio). Questo fatto sposta il centro della pesantezza dell’argomento galileiano dagli accidenti alle osservazioni.

Interpretando i dettagli dei brani citati nello spirito di Kuhn, si può arrivare ad un paradosso, che proverebbe l’apriorismo di Aristotele: il filosofo greco guardava i cieli (o sentiva le relazioni degli astronomi)e, ciò nonostante, non vedeva gli accidenti, o non vi credeva, perché essi non dovevano esistere. Spesso, la teoria acceca il ricercatore, che non vede quello che non è prescritto da essa. Al confronto coi fatti, si inventano spiegazioni ad hoc che tolgono agli avvenimenti il loro carattere di verifica. Così si spiega ancora perché Galilei si sia sbagliato nelle sue affermazioni sulla natura delle comete, la cui apparizione metteva alla prova il sistema eliocentrico.
Il dialogo continua con l’intervento di Simplicio, il quale sostiene che il discorso di Aristotele è un a priori, cui segue la replica di Salviati: “[…] io tengo fermo ch’ e’ procurasse prima [la dottrina],per via de’ sensi, dell’ esperienze e delle observazioni, di assicurarsi quanto fusse posibile della conclusione, e che doppo andasse ricercando i mezzi da poterla dimostrare, perché così si fa per la più nelle scienze dimostrative […]“(7).

Il rapporto tra teoria e esperimento

Troviamo qui una descrizione della concezione di Galilei riguardo al rapporto tra l’esperimento e la teoria, e sul metodo di acquisire conoscenze dalla natura. Così si giustificherebbe l’affermazione di Koyré che l’epistemologia di Galilei è stata “aprioristica e insieme sperimentalista(si potrebbe anche dire: l’una perché l’altra)“(6). Il problema non è tanto quello di trovare una misura esatta (se mai esiste) nella quale Galileo è stato nel suo procedimento mentale apriorista o sperimentalista, ma in quale misura queste due tendenze si possono rintracciare direttamente nei suoi risultati scientifici concreti. Il primo aspetto ha rilevanza solamente sul piano psicologico, (per quanto riguarda lo scienziato), il secondo ha conseguenze per la scienza. Certe volte, le dichiarazioni di Galileo a questo riguardo sono visibilmente contraddittorie, o influenzate da fattori contingenti.

Così ci avviciniamo a un altro aspetto dell’attività di Galilei: il rapporto tra l’esperimento mentale e quello fisico.
Kuhn scrive: “Molti esperimenti della tradizione antica e medievale si rivelano all’analisi accurata essere stati ‘esperimenti mentali’, la costruzione mentale di situazioni sperimentali i cui risultati potevano tranquillamente essere previsti dalla precedente esperienza quotidiana. Altri furono effettuati, specialmente in ottica, ma è spesso estremamente difficile per lo storico decidere se un particolare esperimento citato nella letteratura fosse reale o mentale. Talvolta i risultati riportati non erano quelli che si otterrebbero ora; in altri casi le apparecchiature richieste non avrebbero potuto essere prodotte con i materiali e le tecniche esistenti. Ne derivano problemi reali di giudizio storico, che sono gli stessi che assillano gli studiosi di Galileo. Egli fece sicuramente degli esperimenti, ma è anche più importante ricordarlo come colui che portò la tradizione medioevale dell’esperimento mentale alla sua forma più sviluppata. Sfortunatamente, non sempre è chiaro sotto quale aspetto egli si presenti“(15).

La disputa se Galilei abbia fatto effettivamente i suoi esperimenti o se almeno una parte di questi siano stati solamente concettuali non è nuova; essa è cominciata al tempo di Galilei stesso.
Martin Mersenne, il traduttore ed editore dei “Discorsi intorno a due scienze in Francia” (1639), “rifà gli stessi esperimenti e, all’occorrenza, inventa, ma con più tentativi e con insistenza sui particolari. [Meresenne] vede Galilei andando troppo velocemente nella corsa dei suoi argomenti,trascurando i testi. Lui [sempre Meresenne] è commosso di trovarealtri risultati, ma pensa che l’accumulazione degli esperimenti rispettati permetterebbe di correggere l’uno, l’altro e di rivelarne la costanza della volontà divina“(18).
Ci sono discussioni sulla possibilità di fare in realtà esperimenti concludenti coi mezzi tecnici dell’epoca . D’altra parte una valutazione esatta del ruolo dell’esperimento concettuale nell’attività di Galilei coincide col metodo sviluppato assai recentemente (22) per il caso di Aristotele Buritano. In ogni caso, l’esperimento concettuale non deve essere contrapposto a quello fisico, il ruolo del primo non sparisce con l’apparizione della scienza moderna. Al contrario, si sviluppa un nuovo tipo di esperimento mentale: la simulazione matematica necessaria nella pianificazione dei grandi progetti scientifici.

Il ritratto intellettuale di Galilei, descritto nella tradizione di Duheme Koyré e ripreso con la sparizione di qualche tratto di Kuhn, risulta insoddisfacente. Rappresentato come un Giano Bifronte, con una faccia rivolta al pensiero scolastico e l’altra ai tempi moderni, la figura di Galilei perde così una parte del suo carattere assai complicato. Si sa che, per diverse ragioni, dal tentativo di alzare i toni della polemica, all’operazione di captatio benevolentia e dei mecenati, Galilei faceva dichiarazioni che non avevano un contenuto interamente scientifico. Anche da questo punto di vista, il caso Galilei impone una “navigazione” assai complicata tra la sua biografia e la sua opera scientifica, che richiede un’approfondita conoscenza.

Galilei e gli altri protagonisti della rivoluzione del ‘600

Mettendo l’accento sul contributo incontestabile di Galilei alla meccanica, e lasciando in secondo piano le sue scoperte astronomiche, Kuhn contraddice il suo presupposto di affrontare storicamente l’evoluzione della scienza. Nel ‘600, l’impatto delle scoperte astronomiche di Galileo fu considerevole, e dette un colpo decisivo al dogma aristotelico. Kuhn non nega questo fatto, ma giustificala sua scelta partendo da due considerazioni.
La prima è che i lavori galileani di meccanica hanno avuto un’influenza più estesa nel tempo, culminando nell’opera di Newton e contribuendo in modo decisivo alla formazione della concezione classica del mondo.
La seconda è così descritta da Kuhn: “Il microscopio di Galilei muto’ i termini del problema che i cieli presentavano agli astronomie ne facilitò enormemente la soluzione, in quanto, nelle mani di Galileo, il telescopio rivelò innumerevoli prove a favore della teoria copernicana. Ma la nuova impostazione data al problema da Galileo venne formulata dopo che esso era già stato risolto per altre vie. Se fosse stata rivelata prima, la storia della rivoluzione copernicana sarebbe risultata del tutto diversa. Nel momento in cui fu resa nota, l’opera astronomica di Galileo contribuì soprattutto ad un’operazione di rastrellamento effettuata dopo che la vittoria era chiaramente in vista” (21).
Osserviamo, per prima cosa, che nelle mani di Galilei, o di qualunque altro scienziato dello stesso periodo, il telescopio non poteva rivelare ancora innumerevoli prove a favore della teoria copernicana, ma soltanto argomenti per rifiutare Aristotele e Tolomeo. Le fasi di Venere, i satelliti di Giove, scoperti da Galilei, dimostravano che esistono anche altri corpi celesti (in questo caso il Sole, e rispettivamente, Giove) e non solamente la Terra, intorno ai quali si muovono pianeti e satelliti, ma non dimostravano – e non potevano dimostrare -la correttezza della teoria copernicana. Gli scienziati dello stesso periodo (ed anche le autorità ecclesiastiche) erano coscienti del fatto che solamente con le prove di Galilei non si poteva fare una scelta tra la teoria di Copernico e quella di Ticone. (L’ultima riservava ancora una posizione centrale per la Terra). Mancavano le prove”assolute” dei movimenti (diurno e annuale) della Terra, tanto attese dagli astronomi.
Non è totalmente chiaro nel brano citato il tempo a cui si riferisce Kuhn con il condizionale se fosse stata rivelata prima. Prima che Keplero scoprisse le sue leggi? O ancora prima? Quale sarebbe stato il risultato? Possiamo porci infinite domande di questo tipo; ma tenendo conto che il condizionale non è adatto alla storia, le risposte sarebbero poco rilevanti.
Un punto di vista lo si ritrova nelle lettere di Keplero indirizzate a Galilei. Eccezione fatta per la prima lettera datata il 13 ottobre 1597, tutte le altre contengono informazioni sull’entusiasmo con il quale sono stati accolti non solamente Siderus Nuncius, ma tutte le novità astronomiche galileiane e l’enorme influenza di Galilei sulla scienza. Storicamente Keplero ha più ragione dello storico della scienza.

Galileo vs Cartesio

Se Koyré fa un’analisi dettagliata della relazione tra i contributi scientifici di Galileo e Descartes (5), Kuhn si limita a menzionarli in diverse occasioni, come per esempio per il loro ruolo nella matematizzazione della fisica (16). Per illustrare l’atteggiamento di Galilei nei confronti della matematica, Kuhn ed altri autori (19) fanno appello solo ad una parte di una citazione di Galilei, in cui si legge che “il libro della natura è scritto in linguaggio matematico“, mentre la citazione completa è: “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agliocchi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, a conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli,cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile intenderne umanamente la parola, senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto” (8).
Siamo quindi nella piena fase di geometrizzazione della natura, fatta da Galilei, senza dubbio, sotto l’influenza di Archimede. Così le “leggi” scoperte da Galilei sono formulate come proporzioni, senza contenere costanti, simili alle relazioni della geometria.
Tra l’approccio di Galilei e quello di Descartes ci sono differenze importanti, sia nell’atteggiamento verso la conoscibilità del mondo, sia nel modo di affrontare la ricerca. Nel Discorso sul Metodo, (1637) Descartes scrive: “E tuttavia oso direche non solo ho trovato modo di soddisfarmi in poco tempo su tutti i principali problemi che di solito son trattati in Filosofia, ma di aver altrsi’ notato certe leggi che Dio ha posto nella natura in tal modo e delle quali ha impressotali nozioni nell’anima nostra che, dopo avervi riflettuto a sufficienza,non potremmo dubitare che siano esattamente osservate in tutto ciòche esiste e accade nel mondo“.
Più tardi, in una lettera a Mersenne del 17 maggio 1638, Descartes dichiara: “Chiedere da me dimostrazioni Geometriche in una materiache dipende dalla Fisica è impormi di fare cose impossibili“.

Il motivo del pessimismo di Descartes è basato su ragioni religiose: egli pensava che l’uomo non potesse avere pieno accesso al disegno perfetto della Creazione. Invece, per Galilei il disegno divino è decifrabile; tutto è fatto di tempo, di proporzioni: “Però, per meglio dichiararmi, dico che quanto alla verità di che ci danno cognizionele dimostrazioni matematiche, ella è l’istessa che conosce la sapienza divina; ma vi concederà bene che il modo col quale Iddio conosce le infinite proposizioni, delle quali noi conosciamo alcune poche e sommamente più eccellente del nostro, il quale procede con discorsi e con passaggi di conclusione in conclusione, dove il Suo è un semplice intuito:e dove noi, per esempio, per guadagnar la scienza d’alcune passioni del cerchio, che ne ha infinite, cominciando da una delle più semplicie quella pigliando per sua definizione, passiamo con discorso ad un’altra e da questa alla terza […] l’intelletto divino con la semplice apprensione della sua essenza comprende, senza temporaneo discorso, tutta la infinitàdi quelle passioni. […] Or, questi passaggi, che l’intelletto nostro facon tempo e con motto di passo in passo, l’intelletto divino, a guisa diluce, trascorre in un istante che è l’istesso di dire, gli ha sempretutti presenti” (9).
Scrivendo: Apud me omnia sunt mathematica in natura, Descartes considerava anche lui la matematica (piuttosto la geometria) la chiave per capire la natura, ma il tipo di matematica usata da lui comincia ad avvicinarsi all’algebra.

La differenza più importante tra Galilei e Descartes si manifesta nella pratica dalla scienza: Descartes guarda per decifrare il libro della natura nella sua mente, dove Iddio ha deposto la matrice cognitiva, mentre Galilei guarda nella natura stessa. Descartes è piuttosto un teorico,che non si preoccupa nemmeno di fare il più semplice esperimento per verificare le sue conclusioni (erronee) sulla trasmissione del movimento, mentre Galilei è piuttosto uno sperimentale che non esita a fare appello ad argomenti teorici.

Sperimentare mentalmente e fisicamente

Con ciò si arriva ad un argomento molto discusso: la relazione tra l’esperimento mentale e quello fisico nell’attività di Galilei. Come osserva Enrico Bellone (24), Alexandre Koyrénon ha ragioni per mettere in dubbio gli esperimenti di Galilei, considerando che egli non abbia avuto mezzi tecnici adeguati per ottenere le relazioni corrette tra il tempo e lo spazio nel movimento sui piani inclinati. La possibilità di questi esperimenti è stata provata da Thomas Settle nel 1961 (25). Lo stesso Settle fa un’osservazione molto interessante sull’attività scientifica di Galilei che è stata trascurata da numerosi autori, inclusi Koyré e Kuhn. Secondo Settle, il lavoro di Galilei non deve essere visto come una collezione di esperimenti fatti nel passato, o ancora nel pieno sviluppo, ciascuno di questi rispondeva ai suoi maggiori interessi. Cosciente del fatto che la scoperta delle ‘proporzioni’ esistenti nella natura non è possibile che ad alcune condizioni, Galilei ha intrapreso la sua ricerca rinunciando alla precisione assoluta (quella ‘geometrica’ voluta da Descartes) ma, man mano, ha lavorato intensamente per ottenere strumenti sempre più precisi. Le leggi della natura stabilite da Galilei non dipendono dalle opinioni dell’osservatore.

La tesi di Koyré dovette essere respinta ed il primato dell’attività reale di Galilei sulle speculazioni filosofiche dovette essere riaffermato. La citazione di Kuhn riportata precedentemente (15) nella quale sono espressi dubbi sui confini tra gli esperimenti mentali e quelli fisici di Galilei si deve rileggere in questo senso.

Seguendo un obiettivo di grande respiro, come la verifica di una teoria, esiste sempre la tendenza a portare con sé dettagli meno importanti ai fini della teoria da provare. Il risultato è un mutamento di accento che può falsificare l’immagine complessiva quando la prospettiva diventa più generale. Questo è anche il caso di Kuhn, che nella lettura dell’opera e della figura di Galileo deve per questo motivo essere letto con qualche riserva.

Bibliografia

(1) I documenti del processo di Galileo Galilei, a curadi Sergio M. Pagano, Pontificae Academiae Scripta Varia, 53, Cittàdel Vaticano, 1984.

(2) A. Ciancitto, E. Giannetto, G.D. Maccarone, S. Pappalardo,”The relativity of motion” in Oreme’s scientific work,

(3) E. Giannetto, G.D. Maccarrone, S. Pappalardo, A. Tiné,”Analogia e metafora nell’opera scientifica di Buridan”, Attidel VII Congresso Nazionale di storia della Fisica, Milano, 1987, pag. 197.

(4) William S. Shea, Galileo’s intellectual revolution,Science History publications, N.Y., 1977

(5) Alexandre Koyré, Studi galileiani, Einaudi,Torino, 1976.

(6) Alexandre Koyré, Studi galileiani, Einaudi,Torino, 1976, pag.154..

(7) Galileo Galilei, Opere, Edizione Nazionale, a curadi Antonio Favaro, Firenze, 1890-1909, vol. VII, pag. 75

(8) Galileo Galilei, Opere, Edizione Nzionale, a curadi Antonio Favaro, Firenze, 1890-1908,vol.VII, pag. 232

(9) Galileo Galilei, Opere, Edizione Nazionale, a curadi Antonio Favarro, Firenze, 1890-1908, vol. VII, pag.129

(10) Thomas S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioniscientifiche, Einaudi, Torino, 1969.

(11) Thomas S. Kuhn, La tensione essenziale, Einaudi,Torino, 1985.

(12) Thomas S. Kuhn, La tensione essenziale, Einaudi,Torino, 1985, pag. IX

(13) Thomas S. Kuhn, La tensione essenziale , Einaudi,Torino, 1985, pag. X

(14) Thomas S. Kuhn, La tensione essenziale, Einaudi,Torino, 1985, pag. XI

(15) Thomas S. Kuhn, La tensione essenziale, Einaudi,Torino, 1985, pag. 49

(16) Thomas S. Kuhn, La tensione essenziale, Einaudi,Torino, 1985, pag.46

(17) Karl Popper, La logica della scoperta scientifica,(1934), Einaudi, Torino,

(18) Les nouvelles pensées de Galilé,tradotto dall’italiano da Martin Mersenne, Librairie J. Vrin, Paris, 1973,pag.11 nella prefazione di Bernard Rochot.

(19) Les nouvelles pensées de Galilé,tradotto dall’italiano da Martin Mersenne, Librairie J. Vrin, Paris, 1973,pag. 12

(20) Thomas S. Kuhn, La rivoluzione copernicana, Einaudi,Torino, 1972,

(21) Thomas S. Kuhn, La rivoluzione copernicana, Einaudi,Torino, 1985, pag. 281

(22) A. Ciancitto, E. Giannetto, G.D. Maccarrone,S. Pappalardo, “L’esperimento concettuale nell’antichità e nelmedioevo”, Atti del XI Congresso di storia della Fisica

(23) Galileo Scientist: His years at Padua and Venice,IV Galilean Centenary, Milla Baldo Ceolin ed., Venezia, 1992

(24) Galileo Scientist: His Years at Padua andVenice, IV Galilean Centenary, Milla Baldo Ceolin ed., Venezia, 1992. pag.8

(25) Thomas B. Settle, “An experiment inthe History of Science”, Science, 133 (1961).

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here