Genocidio nel nome del petrolio

In Sudan si sta consumando l’ultimo atto di una guerra civile che in 18 anni ha già prodotto due milioni di morti e quattro milioni di profughi: nell’ultimo anno, il regime islamico di Khartoum ha avviato una campagna militare che mira allo spopolamento delle aree nel Sud del Paese ricche di giacimenti petroliferi. E per farlo, denunciano le organizzazioni umanitarie, utilizzerebbe proprio i proventi dell’estrazione del greggio, avviata dal 1998. A ricordare alla comunità internazionale questo dramma africano sono due articoli pubblicati su The Lancet che riportano le testimonianze e i dati raccolti sul campo da Amnesty International e Medici Senza Frontiere. Bombardamenti aerei, attacchi con elicotteri e truppe di terra, si legge nell’articolo, hanno ucciso migliaia di persone e costretto i superstiti ad abbandonare le loro case. E per evitare che vi facessero ritorno, i militari hanno distrutto i raccolti, razziato il bestiame e commesso gravi violazioni dei diritti umani con assassini e rapimenti di donne e bambini. Questo esodo, denuncia l’articolo, aumenta il rischio di carestie in un Paese già colpito dalla deforestazione e dalla erosione del suolo. Non solo: i bombardamenti impediscono anche i soccorsi alla popolazione, come è successo lo scorso ottobre quando 15 bombe sono cadute nell’area dove personale della Fao, l’agenzia Onu per l’alimentazione, stava distribuendo cibo a 20 mila civili. (m.b.)

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