Genova come Seattle

Dopo Seattle, Genova. La città della Lanterna è stato il teatro di incontri e manifestazioni per tutti coloro – aziende, centri di ricerca, bioscettici – che ruotano attorno alle biotecnologie. Nella città americana l’eco dell’incontro e delle contestazioni aveva assunto dimensioni globali, sia per forma, i manifestanti provenivano da tutto il mondo ed era presente il gotha del pianeta, che per contenuto visto che il tema riguardava la globalizzazione e i suoi effetti.

A Genova il fenomeno ha assunto dimensioni nazionali, ma non per questo è stato meno denso di contenuti e problematiche. Lungi dal risolvere l’annosa questione riguardo la presunta bontà o pericolosità delle biotecnologie i rappresentanti delle due parti, pro-manipolazione genetica e contrari, si sono affrontati a colpi di messaggi: dai volantini alle dichiarazioni rilasciate ai mass media tradizionali. Ma ancora una volta è stata Internet il terreno su cui si è combattuta la battaglia dell’informazione..

Per esempio quelli di ControTebio, una delle due anime dei “contras biotecbologici”, hanno sollecitato un Netstrike contro il sito ufficiale della manifestazione. In pratica si invitavano tutti i volenterosi a collegarsi contemporaneamente al sito ufficiale di Tebio in modo da renderlo inaccessibile ad altri utenti.

D’altra parte, l’importanza dell’informazione è stata sottolineata anche dallo slogan ufficiale del convegno: “Biotecnologie? Informarsi è naturale”. E, come si legge nel comunicato stampa diffuso qualche settimana fa, “Tebio è nato con l’obiettivo di favorire il dibattito su questa complessa materia e offrire un’opportunità di incontro agli operatori del settore”.

Tuttavia, “Se informarsi è naturale”, contestano gli appartenenti a MobilTebio e ControTebio, “a chi spetta il potere di fare e diffondere informazione? Far parlare solo una parte in causa, significa manipolare l’informazione e chi la riceve”. Ed ecco i tentativi di irruzione nella sala congressi, manifestazioni ricche di slogan e controslogan: “Ribellarsi è naturale”.

Oltre che di buoni propositi in fatto di corretta informazione a Tebio si parlato anche sessioni che riguardavano “lo stato della ricerca scientifica e le potenzialità di sviluppo dei nuovi prodotti”, con campi di applicazione che vanno dalle terapie geniche allo sviluppo di piante geneticamente modificate per uso agroalimentare. Dunque piante più resistenti, più produttive e affidabili, che aiutino a sconfiggere il problema della fame nel mondo. Problema più volte affrontato ma mai sradicato.

“Pensare che le biotecnologie possano incidere significativamente sulla fame nel mondo èutopistico”, replicano da MobilTebio. “Lo dimostra il fatto che la fame nei paesi sottosviluppati è conseguenza di dinamiche prettamente economiche, della sperequazione delle risorse: al 20 per cento della popolazione mondiale va l’80 per cento delle risorse”. Dunque il problema sarebbe economico e non tecnologico.

Fanno notare i contestatori: se ha fallito la Rivoluzione Verde degli anni Cinquanta, con l’introduzione di metodi colturali basati sull’utilizzo di sementi ibride e difese chimiche, tecniche di coltivazione e distribuzione delle acque che hanno permesso un rapido e consistente aumento della produzione cerealicola nei paesi in via di sviluppo, non si vede perché debba riuscire l’ingegneria genetica. Che anzi comporta un rischio in più: la diminuzione della biodiversità del pianeta. Rischio che non è sfuggito al neo Ministro delle Politiche Agricole Alfonso Pecoraro Scanio che rovesciando la decisione del suo predecessore ha revocato il patrocinio alla manifestazione ostentando la sua decisa difesa “della biodiversità in agricoltura”.

Ma l’agroalimentare non è stato l’unico tema di discussione. L’ingegneria genetica permette la creazione di nuovi vaccini e possibilità di trapianti di organi senza dover ricorrere ai rarissimi donatori. Inoltre il biotech è un settore in forte crescita e i congressisti si sono confrontati su meccanismi di trasferimento tecnologico che, accompagnati da strumenti finanziari, permettano la creazione di nuove imprese. Ovviamente per far funzionare il meccanismo a dovere, è fondamentale il diritto di brevetto. Negandolo non si avrebbero ritorni economici e quindi nessuno stimolo per potenziali investitori. Ne sa qualcosa il Presidente Bill Clinton che un po’ di tempo fa rilasciò un’incauta dichiarazione dove prometteva che il codice del genoma umano sarebbe stato patrimonio dell’umanità. Il giorno dopo la dichiarazione il Nasdaq, l’indice di borsa per le aziende hi-tech, subì un tracollo, e Clinton fu costretto a tornare su i suoi passi.

Insomma, l’ingegneria genetica è una tecnologia in grado di migliorare il mondo, nulla di cui aver paura e che non deve suscitare paure ancestrali, anche se “lavora” con il linguaggio della vita ed è entrata nel business che è necessario per un suo concreto sviluppo.

I bioscettici non si sono fatti pregare: “Chiediamo”, si legge in un documento, “di decidere democraticamente circa il nostro futuro e la nostra qualità della vita, rivendicando pienamente i nostri diritti fondamentali alla salute, all’integrità dell’ambiente e all’informazione e facendo prevalere il bene comune sulle regole del mercato e del profitto”. Non solo. “La brevettazione di ogm, geni o loro parti ha, inoltre, conseguenze molto rilevanti dal punto di vista sociale ed economico ad esempio in agricoltura: un contadino che coltiva piante o animali geneticamente modificati non sarà più proprietario del risultato del suo lavoro ma dovrà sottostare alle regole imposte dalle multinazionali detentrici del brevetto. Intervenire con le biotecnologie per produrre semi sterili significa mettere in ginocchio l’economia agricola dei paesi più poveri, costringendoli forzosamente a riacquistare continuamente la materia prima vivente dai paesi ricchi”.

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