Giacconi, una vita da Nobel

A un italiano il premio Nobel per la Fisica 2002. Riccardo Giacconi, nato a Genova nel 1931 ma cittadino statunitense dal 1977, ha ottenuto il prestigioso riconoscimento “per il suo pionieristico contributo all’astrofisica, che ha portato alla scoperta delle sorgenti cosmiche di raggi X”. Condividono il premio altri due astronomi, l’americano Raymond Davis e il giapponese Masatoshi Koshiba per i loro studi sui neutrini. Una rivincita per la “scienza che studia l’Universo”, spesso snobbata dall’Accademia Reale Svedese. Giacconi ha iniziato la sua carriera all’Università di Milano, sotto la guida di due grandi italiani della fisica delle particelle, Giuseppe Occhialini e Bruno Rossi, pionieri della ricerca sui raggi cosmici e tra i padri fondatori dell’Istituto nazionale di fisica nucleare. Si trattava allora di un settore marginale dagli incerti confini, che sembrava appartenere più alla cosmologia che alla fisica vera e propria. Proprio su loro suggerimento nel 1959 Giacconi accetta il mandato di una compagnia privata del Massachusetts, l’American Science and Engineering, per dare inizio a ricerche spaziali con i finanziamenti del Dipartimento della Difesa Usa e della Nasa. L’astrofisica in quegli anni cercava un’evidenza sperimentale che dimostrasse la presenza di raggi X nello spazio. I corpi celesti non emettono solo luce e calore, ma anche altri tipi di radiazioni, l’insieme dei quali è in grado di fornire una chiave per comprendere origine ed evoluzione dell’Universo. I raggi X, in particolare, forniscono informazioni preziose su buchi neri, stelle di neutroni e supernove, ma la loro captazione sulla Terra è schermata dagli strati dell’atmosfera. Nel 1962, in un memorabile articolo firmato dallo stesso Giacconi e da Rossi, viene riportata la prima osservazione di una sorgente di raggi X al di fuori del Sistema Solare grazie a un rilevatore mandato in orbita con un satellite. Nasce così l’astronomia a raggi X, che nel corso degli anni successivi cambierà profondamente lo sviluppo dell’intero campo astronomico, contribuendo a fornire una nuova visione dell’Universo. Ma la carriera di Giacconi è costellata di altri successi: nel 1970, le osservazioni del satellite Uhuru, da lui progettato, hanno confermato che le fonti cosmiche di raggi X sono sistemi binari, con una stella che ruota attorno a un altro oggetto molto compatto come una supernova o un buco nero. Qualche anno dopo, la messa in orbita del satellite Einstein ha condotto all’identificazione delle prime sorgenti di raggi X extragalattiche. Nel 1981 come direttore dello Space Telescope Institute della Johns Hopkins University di Baltimora, Giacconi ha nelle sue mani la completa gestione del telescopio Hubble e lo sviluppo di tutti i programmi di ricerca scientifica. Ed è sempre lui che, nell’imbarazzante situazione seguita alla scoperta dell’errore nella costruzione dello specchio del telescopio, fornisce l’indispensabile guida tecnica per disegnare lo strumento correttore e ripristinare le attività del telescopio. Nel 1992 Giacconi viene nominato direttore dell’Eso, l’European Southern Observatory, ma torna ben presto negli Stati Uniti per ricoprire il posto di direttore del Consorzio Interuniversitario per l’astronomia di Washington, dove tuttora lavora. Insomma, un altro caso clamoroso di “cervello in fuga” dall’Italia, come lo sono stati Dulbecco, Rubbia e Montalcini, solo per citare alcuni dei nostri scienziati che hanno svolto le loro ricerche negli Stati Uniti. Difficoltà burocratiche, strutture inadeguate e scarsi finanziamenti sono gli ostacoli che i ricercatori si trovano ad affrontare fin dall’inizio della carriera e che molto spesso li spingono verso gli Stati Uniti. Il problema, infatti, non è solo italiano ma appartiene a molti Paesi dell’Unione Europea.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here