Se l’atleta è un uomo a fine partita è più probabile che si parli del campo, dei servizi, dei volèe o di tie-break. Se però l’atleta è una donna è più probabile che sentiremmo pronunciare parole come “nervoso“, “madre“, “amici“, “padre” nelle conferenze stampa e incontri con i giornalisti a seguire. Questo almeno è quel che suggerisce uno studio presentato alla scorsa 25th International Joint Conference on Artificial Intelligence, che ha analizzato migliaia di interviste a giocatori e giocatrici di tennis, mostrando come alle donne vengano fatte in media più domande non strettamente attinenti al gioco. In altre parole: anche il giornalismo sportivo soffre di pregiudizio di genere, dati alla mano (anche se ne avevamo avuto il sospetto con il caso delle tre atlete di tiro con l’arco lo scorso agosto).
L’analisi è stata compiuta in maniera automatica da un computer, addestrato ad analizzare l’uso delle parole e a capire se rispondesso o meno a un modello di linguaggio da gioco. Questo modello è stato creato insegnando al computer a riconoscere delle espressioni linguistiche comuni nelle partite, a partire dalle telecronache di quasi duemila partite, giocate sia da uomini che donne.
Creato il modello, al computer sono state date in pasto le trascrizioni di domande e interviste fatte a uomini e donne (nel dettaglio: 6.467 trascrizioni di interviste, 81.906 domande poste a 167 giocatrici e 191 giocatori, relativi a partite giocate tra il 2000 e il 2005). Misurando l’aderenza delle domande poste a tutti i giocatori al modello di gioco, i ricercatori hanno osservato come, in generale, le domande fatte alle donne fossero meno relative al gioco. I giornalisti ovvero tendono a fare agli uomini più domande inerenti al gioco rispetto alle donne.
Quanto osservato non ha poi tenuto in considerazione le risposte di giocatrici e giocatori, né chi facesse la domanda, e vale, come sottolineano i ricercatori, solo per il tennis. Davvero solo per il tennis?
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