Gli animali sanno scegliere

Ogni scelta richiede una decisione. E se questo è già abbastanza problematico per un essere umano, può stupire ancor di più che a dover decidere sia una scimmia. Eppure, anche gli animali superiori sono capaci di pianificare e operare delle scelte. Lo conferma uno studio condotto da Paul W. Glimcher e Michael L. Platt, ricercatori della New York University e pubblicato su Nature: i loro risultati attestano, sul piano neurofisiologico, l’esistenza di processi decisionali nei primati.

Se il risultato può apparire scontato ai proprietari di animali, pronti a giurare sulla “capacità di intendere e di volere” dei loro amici, non altrettanto lo era sul piano delle evidenze sperimentali. Fino ad oggi, infatti, ci si poteva basare solo su dei postulati teorici. La teoria decisionale, ad esempio, nata come branca delle scienze sociali e caldamente difesa da economisti e psicologi, asserisce che tanto gli esseri umani quanto gli animali superiori sono in grado, se posti dinanzi a un’alternativa, di considerare il valore delle singole opportunità e di scegliere l’opzione più vantaggiosa. Gli studi biologici sul cervello, invece, hanno sempre negato l’intenzionalità della scelta, ponendo all’origine di qualsiasi azione l’attività nervosa riflessa. Che consisterebbe in una semplice connessione senso-motoria in cui, ad un determinato stimolo, corrisponde una reazione immediata, come può essere quella provocata in una gamba sollecitata da un colpo di martelletto sul ginocchio (riflesso patellare).

I precedenti di questa dibattuta questione risalgono a molto tempo fa. Già nel 1662 Cartesio nel “Trattato sull’uomo” teorizzava l’esistenza del riflesso. Al filosofo francese rispondeva, nello stesso anno, il filosofo e teologo Antoine Arnauld, con lo scritto “Logica di Port-Royal”, nel quale sintetizzava la sua teoria dell’aspettativa di valore. Secondo Arnauld, una decisione non è il semplice prodotto di un riflesso, ma viene determinata in base al suo valore atteso, che si esprime attraverso due variabili: il premio che ci si aspetta come risultato della propria azione, e la probabilità che questo stesso premio si presenti.

Secondo Glimcher, che insieme a Michael L. Platt ha condotto lo studio sulle scimmie, “per oltre tre secoli la teoria del riflesso di stampo cartesiano, che propone una diretta connessione tra sensazione e movimento, ha costituito il paradigma fondamentale per la comprensione del sistema nervoso. Tant’è che ci siamo abituati a dividere il cervello in aree sensoriali e motorie, sottovalutando lo studio di quelle aree cerebrali deputate alla valutazione soggettiva e alla decisionalità”. Ma negli ultimi cinque anni il Laboratory for Sensor-Oculomotor Research dell’Università di New York, dove lavorano i due ricercatori, ha identificato una serie di segnali cerebrali che sembrano rispondere più alla teoria decisionale che non al paradigma riflessologico.

A sostegno della loro affermazione, i due ricercatori portano i risultati dei loro esperimenti condotti su tre scimmie rhesus. Nel primo, l’animale doveva scegliere di guardare uno di due stimoli luminosi di pari intensità. La scelta del primo era rinforzata da un premio (un succo di frutta), mentre l’altra no. Nel secondo esperimento, invece, entrambi gli stimoli luminosi erano rinforzati da un premio, ma uno in misura maggiore rispetto all’altro.

Controllando l’attività nervosa centrale delle scimmie durante il test, i ricercatori hanno notato un’attivazione delle cellule della corteccia parietale posteriore e, più in particolare, nell’area intra-parietale laterale (Lip). Sino ad oggi si era sempre pensato che nei primati quest’area fosse deputata alla semplice traduzione dei segnali visivi in comandi motori per il movimento degli occhi. Ma l’esperimento ha dimostrato che essa è anche direttamente coinvolta nei processi decisionali. Nel primo esperimento, infatti, la prima volta – quando cioè la scelta di uno dei due stimoli luminosi era del tutto casuale – non vi era attivazione dei neuroni dell’area Lip. Nelle successive, invece, quando l’animale era ormai “consapevole” della presenza di un premio, il movimento degli occhi era preceduto dall’attivazione di questi neuroni. Anche nel secondo esperimento il comportamento neuronale variava tra la prima scelta e le successive. Inoltre, le scimmie nel 91% dei casi hanno continuato a dare risposte corrette, scegliendo lo stimolo luminoso che offriva il premio maggiore.

“La nostra ricerca ha dimostrato che la teoria decisionale costituisce una ragionevole alternativa all’assunto cartesiano dei riflessi. Abbiamo scoperto che i neuroni della corteccia parietale producono segnali correlati sia alla probabilità che un determinato movimento oculare produca un rinforzo, sia alla valutazione quantitativa del rinforzo stesso. Ma, ancora più importante, tutto questo è stato dimostrato sia a livello comportamentale che a livello neuronale” – commenta Glimcher.

Le prospettive per il futuro legate a questo studio, tuttavia, non si limitano solo alla suggestione che anche gli animali abbiano facoltà di pensiero, ma aprono nuovi spiragli anche nella ricerca sulla specie umana: “la nostra ricerca ha delle implicazioni anche nel trattamento di alcuni disturbi neurologici provocati da lesioni cerebrali in seguito a traumi o tumori”, precisa Glimcher. “I dati in nostro possesso suggeriscono infatti che talune inabilità motorie in pazienti con lesioni alla corteccia parietale potrebbero essere strettamente legate a un’incapacità decisionale di fare un movimento, anziché a una vera e propria impossibilità motoria di contrarre i muscoli che dovrebbero produrre quel movimento. Se ciò dovesse dimostrarsi esatto, la nostra ricerca potrebbe offrire un notevole contributo alla comprensione di queste lesioni”. Dunque lo studio della corteccia parietale, sia umana che animale, potrebbe riservare delle sorprese inaspettate: se fino a ieri la si riteneva responsabile solo della conversione degli input sensoriali in output motori, adesso sembra che il suo ruolo decisionale nella scelta di quali movimenti compiere sia molto più di un riflesso condizionato.

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