Gli invisibili d’America

In genere sono vere e proprie reazioni a catena, di quelle che fanno sprofondare nell’abisso della povertà e della depressione. Come nella storia di Caroline, 50 anni, americana della middle class, con un diploma in economia e commercio. La “reazione a catena” comincia quando Caroline si accorge che i suoi denti sono ridotti male. Ma l’assistenza non copre le spese dentistiche: così quando i denti cominciano a cadere, e il suo sorriso non ha più nulla di americano, Caroline perde il lavoro. E deve accettare impieghi sempre più provvisori, che non la mettano a contatto con il pubblico. “Caroline comincia a scendere velocemente i gradini della scala sociale: deve trovare una casa più economica, non può mandare suo figlio al college, finisce nel gorgo della depressione e dell’alcolismo”, racconta David Shipler, già giornalista del New York Times insignito del premio Pulitzer per i suoi reportage in Israele e Palestina, e oggi profesore a Princeton. Per cinque anni Shipler ha girato gli angoli più bui del suo paese, intervistando centinaia di persone. Ne è venuto fuori “The Working Poor: Invisible in America”, un libro uscito nel 2004 negli Usa (e mai tradotto in Italia) che è un rapporto sui poveri d’America. Un paese dove oggi 33 milioni di persone, in gran parte afroamericani e latinos, vivono sotto la soglia di povertà, in cui le famiglie composte da un solo adulto (in genere una donna) e due o più bambini vivono con meno di 18 mila dollari l’anno. E dove Clinton prima e Bush dopo hanno dato un duro colpo, anche se con obiettivi diversi, al sistema di sicurezza sociale (Medicaid, buoni alimentary, sussidi per la casa.Davanti agli psichiatri riuniti in questi giorni a Toronto, al congresso dell’American Psychiatry Association, Shipler racconta il legame tra l’ignoranza, la disperazione e il disagio mentale: depressione, alcolismo, tossicodipendenza. “Un anello fondamentale di questa reazione a catena è la casa”, continua Shipler. Negli anni Cinquanta, una famiglia spendeva un terzo delle sue entrate per pagare l’affitto. Ora l’affitto si porta via metà dello stipendio. Dunque le famiglie devono rinunciare a qualcosa: e stringono la cinghia sul cibo. “Non sapete quanti bambini sottopeso ho incontrato nelle mie ricerche”, continua il giornalista. E una cattiva alimentazione, unita allo stress della povertà, puo’ avere effetti devastanti sul cervello di un bambino di tre anni in pieno sviluppo. “Così I figli dei poveri sono anche quelli che vanno male a scuola. Sono quelli che frequentano le classi e gli isituti peggiori, visto che negli Stati Uniti la qualità dell’istruzione costa. E sono quelli che finiscono agli ultimi banchi, perchè gli insegnanti non hanno tempo di occuparsi di loro”. Ma andare male a scuola è frustrante, stressante, deprimente. E in un circolo vizioso senza fine, questo incide sul loro rendimento. Shipler ha incontrato anche chi ha fatto il percorso inverso: dal disagio mentale alla povertà.”Si tratta spesso di persone abusate sessualmente da bambini, dunque senza relazioni affettive stabili, senza piu’ fiducia in se’ stesse e nel genere umano. Il passo verso il consumo di alcol e droghe è brevissimo. E una volta finite nel gorgo è straordinariamente difficile venirne fuori”, continua Shipler. Anche cercare – e dunque trovare – lavoro diventa impossibile: in primo luogo, perchè non si pensa nemmeno di poter essere capaci di fare qualcosa di buono, di utile, di remunerato. In secondo luogo perché entrare in un mondo di cui non si conoscono le regole genera in realtà una grandissima paura del fallimento. Avendo già commesso un errore, non possono permettersi di sbagliare ancora. Come se ne esce? “Ho visto persone riuscire a risollevarsi con dei training sull’autostima, ma non sempre basta ridare fiducia in se stessi per risalire I gradini della scala sociale. Quando hai attraversato la frontiera della povertà, non basta un semplice passaporto per tornare indietro”.Alla radice della “reazione a catena” che porta gli individui sull’orlo della disperazione è, secondo Shipler, il lato oscuro del mito americano. “Sin da piccolo ci si insegna che il nostro è il paese delle opportunità. Se sei in grado di lavorare duro, ce la puoi fare anche tu. Se sei un fallito, certamente è colpa tua. E come può, chi viene stigmatizzato come un fallito, riuscire a risalire la china?”. Non solo: chi parte svantaggiato può lavorare anche 12 ore al giorno per sette giorni alla settimana, ma guadagnerà sempre troppo poco per mandare i figli a scuola, che dunque resteranno degli svantaggiati a vita.

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