Gli scienziati traditi dal governo

Un taglio netto. È quello che la prossima Finanziaria darà alle risorse per la ricerca. Il governo Berlusconi si rimangia così in una sola volta tutte le promesse che da febbraio scorso ha fatto più o meno pubblicamente agli scienziati. Da quando cioè gli stessi ricercatori si sono imposti agli onori delle cronache recriminando prima sulla moratoria agli organismi geneticamente modificati dell’ex ministro Pecoraro Scanio, poi sui pochi fondi dati alla ricerca e la conseguente fuga di cervelli che caratterizza l’Italia. Erano i primi mesi del 2001, la campagna elettorale impazzava e fioccavano le buone intenzioni. Ora invece è tempo di tagliare, eliminando il Fondo per l’incentivazione della ricerca di base, riducendo a 140 invece che 300 miliardi il contributo per la ricerca universitaria, e levando 80 miliardi annui al Fondo unico per il finanziamento degli enti di ricerca. Per un totale di 1500 miliardi in meno. Immediata la reazione degli scienziati, che si sentono traditi dai politici. E che forse si sono accorti in ritardo di essere stati involontariamente al centro di una disputa elettorale piuttosto che di contenuto.

Eppure il ministro Letizia Moratti lo aveva dichiarato nella sede dell’Europarlamento il 17 settembre scorso: “Puntiamo a un adeguamento nei prossimi cinque anni ai parametri europei”. Proprio quei cinque anni che ci separano, secondo Raffaele Liberati responsabile della Direzione “Spazio europeo della ricerca” dell’Unione Europea, dall’estinzione della categoria dei ricercatori. “Abbiamo di fronte il pericolo concreto di un “buco” generazionale per i ricercatori”, ha affermato il funzionario durante un seminario svoltosi all’Università La Sapienza di Roma alla fine di settembre. Un problema che l’Unione Europea sembra affrontare con grande preoccupazione. Dai dati dell’European innovation scoreboard 2001, infatti, la ricerca scientifica e tecnologica del vecchio continente esce a testa alta. Magra figura fa invece l’Italia che, nonostante sia fra le quattro maggiori economie dell’Ue, nella classifica dell’innovazione risulta terzultima insieme alla Spagna e davanti solo a Grecia e Portogallo. Dal rapporto spiccano cinque debolezze del sistema italiano: la spesa pubblica per la ricerca e lo sviluppo, l’istruzione, i brevetti hi-tech, e i finanziamenti all’innovazione.

Il Belpaese è stato bocciato anche dall’Institute for management development che gli ha assegnato il trentesimo posto sulla base dell’indice sintetico di competitività e il trentunesimo su quello di attrattività della ricerca e sviluppo su un totale di 47 nazioni considerate. Nulla peraltro si poteva attendere di più in un Paese dove la quota del Pil destinata alla ricerca è di poco superiore all’1 per cento contro il 3,1 del Giappone, il 2,8 degli Usa, il 2,3 della Germania, tanto per fare degli esempi. “Un divario che andrebbe colmato d’urgenza anziché ulteriormente ampliato”, come recita l’appello che l’Associazione Dottorandi e Dottorati di Ricerca Italiani ha inviato al governo. E anche se dovessero passare i cinque emendamenti che i senatori dell’Ulivo hanno proposto nei giorni scorsi l’ex sottosegretario alla Ricerca Antonino Cuffaro ha confermato che “la quota del Pil destinata alla ricerca scenderebbe dall’attuale 1,03 allo 0,9 per cento”.

Degli impegni elettorali presi nei confronti degli scienziati l’esecutivo sembra essersi ricordato solo nel caso dei brevetti. Lo slogan “le invenzioni sono dell’inventore” si è trasformato in un punto della legge per l’emersione del lavoro nero che riconosce al ricercatore pubblico la proprietà esclusiva dell’invenzione brevettabile di cui è autore. Oltre al diritto di paternità gli riconosce almeno il 50 per cento dei proventi ricavati dallo sfruttamento commerciale del brevetto. Nulla dice invece sulle spese di registrazione e mantenimento del brevetto nei registri italiani e internazionali che quindi dovrebbero rimanere a carico degli enti di ricerca. Un provvedimento che però non sembra accontentare gli scienziati che negli ultimi giorni si sono scagliati contro chi aveva promesso e adesso non ha mantenuto.

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