Un nuovo esperimento per scovare il gravitone (se esiste)

fisica gravitone
(Foto: FlyD su Unsplash)

Quattro, secondo la fisica moderna, sono le forze fondamentali, cioè le interazioni che permettono di descrivere i fenomeni fisici a tutte le scale di distanza ed energia. Ci sono voluti molti secoli di ipotesi, teorie, modelli ed esperimenti per arrivare a isolarle tutte: sono la forza gravitazionale, la forza elettromagnetica, la forza nucleare forte e la forza nucleare debole. Le ultime tre interazioni sono descritte dal Modello standard della fisica delle particelle, e per ciascuna di esse è stato individuato il cosiddetto mediatore, ossia la particella responsabile del “trasporto” della forza stessa: il gluone per l’interazione forte, il fotone per l’interazione elettromagnetica, i bosoni W e Z per l’interazione debole. Per di più, oltre quarant’anni fa i fisici sono riusciti a mostrare che la forza debole e la forza elettromagnetica, al di sopra di una certa energia, sono manifestazioni della stessa interazione, compiendo così un notevole passo avanti verso la cosiddetta unificazione delle forze, l’ipotesi secondo la quale tutte le forze siano in realtà riconducibili agli stessi meccanismi; attualmente si sta lavorando per integrare anche l’interazione forte a quella elettrodebole, tramite la teoria della grande unificazione.


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C’è però ancora una grande assente, la prima – e la più misteriosa – delle forze che abbiamo citato. Della forza di gravità conosciamo infatti la descrizione che ha fatto Albert Einstein con la sua teoria della relatività generale, ma non siamo ancora stati in grado di darne una connotazione quantistica, che è un passo indispensabile per l’obiettivo dell’unificazione. Ancora non sappiamo, in particolare, se esista e come sia fatto il mediatore dell’interazione gravitazionale, il cosiddetto gravitone. Individuare sperimentalmente il gravitone è uno degli obiettivi più importanti, ambiziosi e difficili della fisica moderna, a cui gli scienziati stanno lavorando da decenni: uno studio appena pubblicato sulla rivista Nature Communications da un gruppo di fisici della Stockholm University descrive oggi un nuovo approccio sperimentale alla ricerca del gravitone, con il quale, dicono gli autori, potrebbe essere un giorno possibile individuare l’elusiva particella.

Troppo deboli

Ciò che rende così difficile individuare i gravitoni – sempre posto che esistano – è il fatto che interagiscono molto debolmente, e quindi la loro presenza è facilmente “mascherata” dalle altre interazioni e dal “rumore” esterno. La più grande sfida per i fisici sperimentali che lavorano all’individuazione del gravitone, infatti, è quella di isolare il più possibile l’apparato di misura, proprio per silenziare tutti i segnali che potrebbero coprire quelli dei mediatori della forza di gravità. Al momento, come dicevamo, nessun esperimento è ancora riuscito a identificare il gravitone: tramite i rivelatori di onde gravitazionali, i cosiddetti interferometri, è stato “solo” possibile porre dei limiti alla sua massa. In particolare, le caratteristiche della prima onda gravitazionale mai misurata, la GW150914, hanno permesso di confermare che (sempre qualora esistesse) il gravitone avrebbe una massa minore di 10-22 eV/cm2.

Un nuovo approccio

Come dicevamo, gli autori del nuovo studio propongono un approccio diverso rispetto a quelli tentati finora, che si serve del cosiddetto “effetto gravito-fotonico”. “L’esperimento che proponiamo – ha commentato Igor Pikovski, uno degli autori del lavoro – è stato a lungo ritenuto impossibile, ma riteniamo di aver trovato un modo per eseguirlo. La nostra idea si basa su un fenomeno simile all’effetto fotoelettrico, che ha permesso ad Albert Einstein di descrivere la natura quantistica della luce, sostituendo le onde elettromagnetiche a quella gravitazionale”. L’effetto fotoelettrico, ricordiamo, è il fenomeno in virtù del quale uno o più elettroni possono essere “strappati” a un atomo quando questo viene investito da radiazione elettromagnetica. “Con le onde gravitazionali – continua Pikovski – funziona allo stesso modo: ipotizziamo che le onde e il materiale che colpiscono si scambino energia, emettendo e assorbendo singoli gravitoni”. Supponendo che l’ipotesi sia giusta, Pikovski e colleghi propongono di raffreddare una barra di alluminio molto pesante (quasi due tonnellate) a una temperatura molto vicina allo zero assoluto, di collegarla a sensori in grado di misurare scambi di energia molto bassi e di aspettare con pazienza che un’onda gravitazionale colpisca l’apparato. Quando questo accade, la barra dovrebbe vibrare quasi impercettibilmente, ma il tanto che basta per essere rilevato dai sensori, che dovrebbero misurare dei “salti” di energia, corrispondenti, per l’appunto, all’emissione o all’assorbimento dei gravitoni. Il punto di forza dell’esperimento è che l’eventuale rivelazione di un segnale da parte dei sensori potrebbe essere confrontata con i segnali rivelati dagli interferometri di onde gravitazionali: se i due eventi dovessero risultare simultanei si avrebbe la ragionevole certezza che i responsabili sono proprio i gravitoni.

Dove sono i sensori?

Sebbene l’idea dei fisici sia molto interessante, resta ancora un grosso ostacolo da superare. E cioè il fatto che al momento non esistono sensori sufficientemente sensibili (sic!) da riuscire a rivelare un segnale così debole. Ma gli autori del lavoro sono fiduciosi che nel prossimo futuro sarà possibile metterli a punto: “Siamo certi che questo esperimento potrebbe funzionare” ha commentato Thomas Beitel, un altro dei fisici che ha lavorato allo studio “Ora che siamo ragionevolmente sicuri che i gravitoni possano essere rivelati in questo modo, abbiamo una motivazione in più per sviluppare i sensori necessari a questo esperimento. Con un po’ di fortuna potremmo essere in grado di trovare presto i gravitoni”. Sempre che esistano, beninteso.

Via: Wired.it
Immagine: FlyD su Unsplash