Gulag, un sito per non dimenticare

Marino Anelli, Luigi Calligaris, Otello Gaggi, Elena e Giorgio Nenno. Tutti nomi sconosciuti di cui la storia non parla, ma che il paziente lavoro di Elena Dundovich, Emanuela Guercetti e Francesca Gori ha fatto emergere dagli archivi ex sovietici grazie a un sito Web. Le tre ricercatrici, con il contributo del centro studi “Memorial” di Mosca, hanno così potuto dare un volto alle centinaia di italiani presenti in Unione Sovietica tra il 1918 e il 1956. Emigrati politici, operai, contadini e circensi, molti dei quali iscritti al Pci, accusati di attività antisovietica e controrivoluzionaria, e per questo privati dei diritti civili, condannati ai lavori forzati o fucilati dopo processi farsa e confessioni estorte sotto tortura. Con il nulla osta dei dirigenti del Partito Comunista Italiano. Ne abbiamo parlato con Elena Dundovich, coautrice dello studio e docente di Storia delle Relazioni Internazionali a Firenze.

Dottoressa Dundovich, perché è stato scelto Internet per diffondere il vostro lavoro?

“Internet ha aperto agli storici la possibilità di consultare bibliografie innumerevoli e di confrontare i dati delle proprie ricerche, un orizzonte decisamente nuovo. Fornisce, inoltre, un servizio importantissimo, tramite il quale la storia può essere messa a disposizione di un pubblico ampio, soprattutto dei giovani. Infine, in questo caso, è stato possibile, non solo fare un ritratto delle vittime sconosciute di Stalin, ma anche dare loro una sepoltura. Conservarne la memoria in una sorta di cimitero virtuale”.

Cosa significava, negli anni del socialismo reale, essere sufficientemente comunisti?

“Nella storia politica di ognuno non ci dovevano essere disorientamenti. Dopo il 1928, quando vinse la linea di Stalin, qualsiasi simpatia verso Lev Trockij (e Amedeo Bordiga, suo equivalente italiano) era malvista. Egli era infatti il principale oppositore politico di Stalin, in lotta contro la burocratizzazione del partito e autore della tesi della “rivoluzione permanente”, che si contrapponeva alla teoria staliniana del socialismo in un solo Paese”.

Ma come poteva il comunismo, ateo e laico, assumere il valore rituale e il fervore interiore di una fede religiosa?

“E’ questo un interrogativo senza risposta, se non lo si inquadra nel contesto storico e sociale di quegli anni, quando l’Urss era considerata baluardo e faro della lotta al nazifascismo, paradiso dei lavoratori, patria del socialismo e dell’uguaglianza”.

Lei ha scoperto l’unico documento, datato 1936, che porta la firma di Palmiro Togliatti sulla schedatura dei compagni da “esiliare”. Ce ne può parlare?

“La diffidenza paranoica di Stalin alimentò un clima di sospetto che travolse le comunità straniere in Unione Sovietica, compresa quella italiana. Tutto questo avveniva non senza la complicità dei dirigenti italiani della Terza Internazionale: Palmiro Togliatti, Antonio Roasio, Paolo Robotti, Domenico Ciufoli furono responsabili della decimazione dei loro connazionali. Certo, non avrebbero potuto evitarla totalmente, ma avrebbero potuto dissociarsi. Inoltre, alcuni di loro, incaricati di esaminare le domande di rimpatrio degli italiani, diedero parere negativo per paura che i loro racconti, una volta tornati in Italia, non fossero in linea con la propaganda che il Pci faceva a proposito dell’Unione Sovietica. L’idea della responsabilità collettiva ha sempre coperto crimini spaventosi”.

La reticenza però continuò anche dopo che Nikita Kruscev demolì il “culto della personalità” e il sistema penale staliniano, nel 1956, al XX Congresso del Pcus. Perché?

“La reticenza è continuata fino al 1961, quando il IX Congresso del Pci riconobbe ufficialmente le vittime di Stalin. Il ritardo è dovuto al fatto che molti dei dirigenti prima citati erano vivi a quella data e ricoprivano incarichi importanti all’interno del partito”.

Quale valore assume una ricerca del genere?

“Un valore d’impatto. Può stimolare ricerche più approfondite, inducendo storici e politici a fare i conti con un argomento finora poco studiato. Ma soprattutto può spingere a riflettere su un aspetto fondamentale della storia del secolo scorso, quello dei campi di concentramento. Un tema che esula dai confini dell’Urss e che arriva ai giorni nostri con i lager della Bosnia-Erzegovina. Direi proprio che il “campo” è un connotato fondamentale della storia del XX secolo”.

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