L’Hiv non uccide più, se ci si cura. La terapia antiretrovirale combinata (cART) ha rivoluzionato i trattamenti e a oggi permette a milioni di persone contagiate di condurre una vita lunga e pressoché normale. Eppure l’Hiv non è sconfitto. Basta infatti che la terapia non sia ben dosata o che i pazienti smettano di assumerla che eccolo ricomparire nelle analisi del sangue, potenzialmente letale e contagioso. Dove si nasconde? E in che modo riesce a reinstaurare in poco tempo l’infezione? Per far luce sulla questione Giorgio Bozzi e i suoi colleghi, al lavoro tra il National Cancer Institute (USA) e l’Ospedale Sacco di Milano, hanno condotto uno studio che suggerisce che la persistenza di Hiv nell’organismo sia da imputare alla permanenza dei provirus, cioè del genoma virale integrato in quello di cellule “serbatoio”.
Facciamo un veloce ripasso. Una volta entrato in una cellula, Hiv è in grado di convertire il suo genoma da Rna in Dna, e poi a integrarlo con il genoma della cellula stessa. Da questo momento il genoma virale integrato viene chiamato provirus. Con questa strategia il virus sfrutta tutti i sistemi della cellula per replicare il suo patrimonio genetico e costruire altre particelle virali che poi andranno a infettare altre cellule.
I farmaci antiretrovirali usati nella cART vanno ad agire su diversi enzimi di Hiv che gli consentono di continuare il ciclo. La cART, dunque, riesce a bloccare l’infezione e a farla regredire così da eliminare le tracce di Hiv nel sangue. Tuttavia il virus è ancora presente, nascosto in forma latente nelle cellule infettate.
Lo studio di Bozzi e colleghi nasce dalla volontà di capire quale sia il meccanismo che permette a Hiv di sopravvivere alla cART. Le ipotesi in sostanza sono due: la persistenza del virus nel genoma cellulare e la replicazione (espansione clonale) delle cellule infette, oppure la replicazione attiva del virus all’interno di certi tessuti che non vengono raggiunti in modo efficiente dai farmaci.
“Questi meccanismi – scrivono gli autori nell’articolo pubblicato su Science Advances – richiedono strategie diverse per l’eradicazione ed è essenziale determinare il loro contributo alla persistenza di Hiv”.
Gli scienziati hanno analizzato il genoma del virus nel sangue, nei linfociti e in cellule di altri tessuti infetti prelevati da 6 pazienti in cura con cART da 8-16 anni. L’obiettivo era verificare se esistessero prove di replicazione del virus, in particolare in quei tessuti in cui l’azione dei farmaci non si esplica: quando il virus si replica, infatti, muta velocemente, lasciando tracce evidenti all’analisi del Dna virale.
Diversamente da quanto alcune ricerche precedenti sembravano aver dimostrato, il team non ha trovato prove di replicazione attiva del virus durante l’assunzione di cART, mentre ci sono evidenze dell’espansione clonale di cellule infette. Ciò significa secondo gli autori che Hiv si mantiene all’interno dell’organismo come provirus, che, essendo integrato nel genoma cellulare, si tramanda da una generazione di cellule infette all’altra.
“ Le cellule infette da Hiv presenti prima dell’avvio della cART – scrivono – rappresentano l’unica fonte identificabile di persistenza e sono l’obiettivo più indicato per l’eradicazione”.
Fonte: Science Advances
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