Categorie: Fisica e Matematica

I limiti della crittografia quantistica

Anche se la crittografia basata sulla meccanica quantistica è ritenuta tra i sistemi più sicuri per proteggere un messaggio, non è comunque infallibile e ha i suoi limiti. Lo ha raccontato Renato Renner dell’Institute of Theoretical Physics in Zurich alla Conference on Lasers and Electro-Optics di San Jose, in California, con una presentazione sui tassi di fallimento dei diversi sistemi di crittografia quantistica. “Se costruito correttamente nessun hacker può entrare nel sistema. Il problema è cosa significa costruito correttamente”, dice Renner a Wired.com.  

Nel caso della crittografia quantistica, la chiave (il mezzo che permette a un messaggio di essere cifrato e quindi di diventare di nuovo leggibile) è codificata in una serie di fotoni che vengono passati tra le due parti che devono condividere un messaggio (per esempio attraverso la fibra ottica). Secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg (per il quale, semplificando, non è possibile conoscere contemporaneamente due caratteristiche di un oggetto quantistico) chiunque fosse interessato a ottenere la chiave non può farlo senza disturbare questi fotoni (polarizzati). Di fatto, cioè, chiunque si intromette tra la comunicazione ne altera le caratteristiche, lasciando un impronta che permette di accorgersi dell’intrusione alle parti interessate. 

Detta così, la possibilità di insinuarsi nella chiave, risulta limitata non dalle tecnologie quanto piuttosto dalle stesse leggi della fisica. Eppure qualche limite esiste anche per la crittografia quantistica. 

Per esempio, i detector di fotoni potrebbero perdersi qualche particella, non registrala, facendo sospettare alle parti interessate che il messaggio sia stato hackerato quando invece si tratta solo di un problema tecnico. Allo stesso modo è possibile per un hacker accecare un detector e rendere davvero impossibile la ricezione dei fotoni associati al messaggio criptato. Inoltre, per generare i fotoni spesso vengono usati dei laser a bassa intensità, tali che possono emettere anche solo un fotone alla volta. E’ tecnicamente possibile quindi, spiega Renner, che vengano prodotti più fotoni con la stessa informazione e venire in possesso di uno solo permetterebbe a terze parti di accedere alle informazioni secretate, senza che nessuno se ne accorga. 

Renner sta lavorando per cercare di contenere questi limiti tecnologici, cercando di potenziare le misure di sicurezza. Un approccio potrebbe essere quello di produrre intenzionalmente più fotoni e quindi controllare la sicurezza della linea accertandosi che nessuno sia stato rubato, o ancora ricorrere a fotoni entangled (nellentanglement quantistico lo stato quantico di due o più sistemi fisici dipende dallo stato di ciascun sistema anche se questi sono spazialmente separati). Usando coppie di particelle entangled per codificare e condividere una chiave diventerebbe più difficile bucare le comunicazioni. Infatti, anche qualora uno dei due fotoni fosse rubato non potrebbe essere sostituito da un altro per ricostruire la chiave, perché non entangled.  

Via: Wired.it

Credits immagine:  Anders Sandberg/Flickr

 

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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