I primi tentativi

Dopo secoli di tentativi empirici, la storia “scientifica” del trattamento dell’infertilità comincia agli inizi di questo secolo. Ma per decenni resta molto approssimativa: “Nel 1905 furono messi in atto i primi tentativi di trattare la sterilità femminili con irradiazioni di raggi X. Una procedura, questa, universalmente accettata fino al 1949”, spiega Bruno Lunenfeld dell’Institute for Reproductive Medicine and Science di Ra’anana (Israele). La ricerca sull’uso clinico delle gonadotropine – gli ormoni che stimolano l’attività delle gonadi – è cominciata negli anni ‘20. “Inizialmente si è fatto ricorso a ormoni estratti dall’urina di giumenta gravida, poi si è utilizzata l’urina di donne in menopausa. La stessa “materia prima” impiegata anni più tardi per produrre un altro ormone, l’Fsh (Follicle stimulating ormone) che garantiva risultati più sicuri.

Il boom della fecondazione assistita ha portato però, ricorda Lunenfeld, a una crescita abnorme della richiesta: “Per produrre la quantità di ormoni necessaria occorrono ogni anno 600 mila donatori – in gran maggioranza suore – in grado di fornire 120 milioni di litri di urina”. E le aziende hanno finito con il rivolgersi al “mercato nero”, con grave rischio di contaminazioni: sembra che esistano anche siti Internet destinati a questo tipo di commerci. A fornire una soluzione è stata l’ingegneria genetica. “Dal 1992”, prosegue Lunenfeld, “è possibile produrre gonadotropine altamente concentrate e clinicamente pure, destinate a sostituire in breve tempo tutti i prodotti realizzati con materia prima umana”. Il passo successivo sarà quello di creare gonadotropine “su misura”, in grado di intervenire in determinate fasi del ciclo o in condizioni particolari.

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