Ibridi, è falso allarme?

Le coltivazioni di varietà agricole geneticamente modificate non minacciano le specie naturali. In altri termini, il cosiddetto rischio transgenico – cioè la possibilità che materiale genetico introdotto artificialmente nel Dna delle specie agricole sfugga al controllo e si inserisca nel genoma delle specie selvatiche dando vita a organismi ibridi – è molto basso. Almeno per quanto riguarda le specie del genere Brassica, oggetto di studio di due ricercatori inglesi, Susan E. Scott e Mike J. Wilkinson. Gli autori, che lavorano presso il dipartimento di Botanica agricola dell’Università di Reading, raccontano sulle pagine di Nature di aver condotto una ricerca su due specie di crocifere: la Brassica napus e la Brassica rapa (la rapa comune).

Una scelta non casuale quella dei ricercatori. La B. napus geneticamente modificata infatti potrebbe arrivare a breve sul mercato europeo. Ma qual è il vantaggio commerciale della napus biotecnologica? “L’importanza commerciale della napus – spiega a Galileo Mike J. Wilkinson – sta nei semi, da cui si ricava soprattutto olio da cucina ma anche lubrificanti industriali. Diverse linee di B. napus sono state prodotte in laboratorio. La prima di queste, quella che probabilmente verrà commercializzata in Europa, è resistente agli erbicidi, al glifosato e al glucofosinato, per l’esattezza. Questa napus differisce dal tipo convenzionale e da tutte le altre specie di Brassica per la capacità di sopravvivere al trattamento spray con diserbanti”.

Ma veniamo all’esperimento. Gli scienziati inglesi hanno studiato due popolazioni selvatiche di Brassica rapa che crescevano lungo il Tamigi in prossimità di campi coltivati a napus. Hanno raccolto i semi da entrambe le popolazioni naturali di B. rapa e li hanno fatti germinare. Una volta adulte, le piante ibride venivano facilmente riconosciute all’osservazione, e comunque la loro condizione veniva poi confermata con la tecnica della citometria a flusso e con la conta dei cromosomi. Il risultato è stato che gli ibridi raggiungevano in una popolazione lo 0.4 per cento appena e nell’altra l’1,5 per cento. Numeri evidentemente bassi. Bassi e rassicuranti, visto il timore, diffuso non solo tra gli ambientalisti, che le coltivazioni di vegetali biotecnologici possano ibridarsi con le varietà selvatiche.

Ma qual è la ragione di questa paura? In altri termini, cosa si rischierebbe se del materiale genetico ‘sfuggisse’ dalle piante erbacee modificate, in questo caso dalle rape da olio, e si ibridasse con le varietà naturali? “C’è più di un danno legato a questo fenomeno – spiega ancora Wilkinson -. Per esempio c’è un problema ecologico: l’assunzione di transgeni per la resistenza agli insetti o alle malattie per esempio potrebbe modificare l’ecologia delle specie selvatiche. Che potrebbero diventare più aggressive e invadere nuovi habitat. Noi – conclude il ricercatore – abbiamo dimostrato che si formano dei semi ibridi nelle popolazioni naturali di B. rapa selvatica, ma solo in un piccolo numero di popolazioni e solo a frequenze basse”.

Forse, i risultati dello studio inglese, nonostante riguardino un solo genere di vegetali, serviranno a rassicurare, almeno in parte, quanti temono le conseguenze della recente direttiva europea che consente la commercializzazione di prodotti geneticamente modificati. La sua applicazione, secondo alcuni esperti, potrebbe alla lunga compromettere l’ecologia delle specie vegetali e ridurre la biodiversità del pianeta.

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