Lo scorso 8 agosto scienziati della National Ignition Facility (NIF) del laboratorio americano Lawrence Livermore National Laboratory (LLNL) hanno annunciato un importantissimo risultato sulla via della fusione termonucleare controllata: sono riusciti a generare un impulso di 1,3 MJ di energia dalla fusione di una miscela di deuterio e trizio (isotopi pesanti dell’idrogeno) racchiusa in una sferetta grande come un grano di pepe esposta all’illuminazione impulsiva simultanea di 192 fasci laser. Il processo è avvenuto in meno di 100 picosecondi raggiungendo quindi una potenza di oltre 10 peta Watt.
L’energia prodotta nell’evento è stata circa 5 volte quella depositata sul bersaglio, ma l’energia totale dei fasci laser è stata di 1,9 MJ, per cui l’esperimento ha raggiunto una resa di circa il 70%, stabilendo comunque un record mondiale, molto superiore a ogni altro apparato esistente.
La fusione termonucleare controllata
Le reazioni di fusione di nuclei leggeri a formare nuclei più pesanti sono altamente energetiche e costituiscono il principale meccanismo alla base dell‘energia delle stelle. La fusione di deuterio e trizio in elio (particelle alfa) e neutroni raggiunge una densità di energia per unità di massa 4 volte quella della fissione di elementi pesanti e 40 milioni di volte l’esplosione di tritolo. Per tale motivo questo processo viene impiegato per le bombe termonucleari più potenti e da 70 anni viene studiato, in forma controllata, nella prospettiva di una sorgente di energia di caratteristiche potenzialmente ottimali e resistente alla proliferazione nucleare.
Per innescare le reazioni di fusione è necessario che il combustibile sia riscaldato, per mezzo di un apposito sistema di ignizione, a temperature eccezionali, fra 100 e 200 milioni di gradi, in modo che i nuclei possano superare la repulsione elettrostatica fra le loro cariche elettriche, entrambe positive. Inoltre, per mantenere attiva la reazione, il combustibile, che viene a trovarsi nello stato fisico di gas ionizzato (plasma), deve essere confinato in quantità significativa entro la regione di interazione vincendo la dispersione per un tempo adeguato. Il criterio di Lawson (1955) fissa il valore critico che deve essere superato dal prodotto di temperatura, densità e tempo di confinamento del plasma per innescare la fusione: in opportune unità di misura vale circa 3´1021 keV s/m3.
Le due tecniche per il confinamento del plasma
Le principali ricerche correnti afferiscono a due grandi classi a seconda della tecnica usata per il confinamento del plasma di deuterio-trizio: il confinamento magnetico (MCF) e il confinamento inerziale (ICF).
Nel primo caso, MCF, si mira a confinare per tempi significativi (dell’ordine del minuto) grandi volumi di plasma a bassa densità (~1014 ioni per cm3) in particolari configurazioni geometriche mediante forti campi magnetici (fino a 5,3 T) e l’energia di ignizione viene fornita attraverso interazioni elettromagnetiche.
Nel caso del confinamento inerziale il combustibile è contenuto in una sferetta di qualche millimetro di diametro e un intensissimo impulso istantaneo (nanosecondi) laser (ma anche di elettroni relativistici o ioni) comprime e riscalda la superficie della capsula bersaglio provocandone l’ablazione. Per il principio di azione e reazione, ciò induce un’implosione che comprime e riscalda il carburante alle estreme temperature e densità (fino a ~1026 ioni per cm3) necessarie per la fusione, e rallenta la dispersione del plasma generato. La compressione deve avvenire in modo altamente regolare e simmetrico per evitare la creazione di instabilità termiche e dinamiche che vanifichino l’implosione.
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Le difficoltà di ciascuno dei due approcci sono estreme e i costi enormi. Le ricerche procedono da 70 anni in vari paesi studiando schemi diversi, tutti molto complessi e impegnativi tecnologicamente, tuttavia non si è ancora raggiunto l’obiettivo del “pareggio scientifico” (scientific break–even), in cui l’energia prodotta uguaglia quella immessa, primo ineludibile passo verso l’impiego della fusione per la produzione di energia in un impianto commerciale. Attualmente il maggiore apparato MFE è il tokamak ITER in costruzione a Cadarache in Francia da parte di una larghissima collaborazione mondiale: dovrebbe entrare in funzione nel 2025 e sperimentare con miscele deuterio-trizio a partire dal 2035.
Nel campo del confinamento inerziale la NIF di Livermore in California non ha rivali al mondo per dimensioni e caratteristiche: ospitata in un edificio di quasi 2 ettari di superficie e alto 10 piani, utilizza una varietà di banchi ottici, fibre ottiche e specchi per generare, amplificare e manipolare un impulso laser in modo da fargli assumere il profilo temporale voluto, fino a una durata massima di 30 ns: l’energia massima del fascio raggiunge i 4,8 MJ per impulsi infrarossi e 1,9 MJ per impulsi ultravioletti; l’impulso viene suddiviso fino a 192 fascetti che vengono inviati simultaneamente sul bersaglio in una camera di diffusione del diametro di 10 m dotata di una panoplia di sistemi di misura e di apparati diagnostici. La suddivisione in fascetti serve sia per diminuire il carico di potenza sul sistema ottico che per creare uno spot sul bersaglio della dimensione spaziale voluta.
La costruzione della NIF iniziata nel 1997 è stata completata nel 2007. I primi test di potenza partirono nel 2010 e dal 2014 si sono avuti circa 3000 esperimenti (per il 90% a scopo militare) con una varietà di bersagli e di forme di impulso. Va osservato che dopo ogni singolo shock occorre raffreddare il sistema ottico e ripristinarne le condizioni normali, operazioni che richiedono almeno un giorno.
L’hohlraum, un “forno” a raggi X
Per evitare la necessità di una precisione sub-millimetrica nella guida finale dei fasci laser sul bersaglio e per una sua illuminazione altamente uniforme a prevenire instabilità nell’implosione, a Livermore si impiega un approccio indiretto: la capsula contenente la miscela di deuterio e trizio è sospesa all’interno di un cilindretto cavo, chiamato hohlraum, che diventa un vero e proprio “forno” a raggi X. Il vantaggio di questo approccio è che i fasci possono essere più grandi e meno precisi, il che semplifica notevolmente la loro produzione. Lo svantaggio è che gran parte dell’energia fornita (fino all’85%) viene utilizzata per riscaldare l’hohlraum fino a produrre raggi X, e quindi l’efficienza globale è molto inferiore rispetto alla deposizione diretta dell’energia sul bersaglio.
L’evento dell’8 agosto nel dettaglio
Non sono ancora stati pubblicati i precisi dati relativi all’esperimento, ma le caratteristiche del bersaglio sono un miglioramento di quelle del precedente esperimento record della scorsa primavera (pubblicato il 21 luglio scorso), che quindi forniscono una ragionevole approssimazione di quelle attuali. Nell’esperimento precedente l’hohlraum era d’oro, alto 11,24 mm e con un diametro di 6,4 mm, riempito di elio; la capsula sferica con diametro di 3,4 mm aveva la superfice ablativa di diamante (materiale ideale l’assorbimento ottimale della radiazione X) spessa 1180 micron su un sottile strato di tungsteno. La miscela combustibile di circa 200 mg inserita mediante un foro micrometrico, presentava un sottile strato congelato al contatto dello strato di tungsteno, essendo la capsula stata portata a temperature criogeniche.
L’impulso laser in 8 ns depone 1,9 MJ sull’hohlraum portandolo a temperature superiori a 3 milioni di gradi in modo da generare un intenso flusso di raggi X che si diffonde all’interno e deposita circa 250 kJ di energia sulla capsula bersaglio provocandone l’implosione. La miscela deuterio-trizio raggiunge temperature fino a 100 milioni di gradi e densità dell’ordine di 1000 volte quella dell’acqua, condizioni sufficienti a innescare la reazione di fusione.
La velocità di fusione nella regione altamente compressa dall’onda d’implosione produce quantità significative di particelle alfa altamente energetiche, le quali, per l’elevata densità del combustibile circostante, si spostano solo per una breve distanza prima di cedere la loro energia al combustibile sotto forma di calore. Questa energia aggiuntiva provoca ulteriori reazioni, emettendo più particelle ad alta energia, in un processo di feedback che si diffonde dal centro verso l’esterno a coinvolgere tutta la miscela deuterio-trizio, raggiungendo appunto le condizioni di ustione autosufficiente o ignizione.
Una cinquantina di scienziati che hanno condotto l’esperimento sta elaborando le informazioni raccolte dal complesso sistema di rivelatori e strumenti diagnostici per individuare possibili miglioramenti per un prossimo esperimento, previsto entro l’autunno, che dovrebbe permettere una resa ancora migliore verso l’obiettivo clamoroso dello scientific break-even.
Ancora un test, poi il NIF farà solo ricerca militare
È tuttavia chiaro che l’approccio della NIF, e in generale dell’ICF con fasci laser, non è pratico per una possibile produzione di energia, anche se permettesse di raggiungere una produzione di energia 100 volte maggiore di quella depositata dal laser (condizione stimata necessaria per un impianto industriale realistico), poiché la frequenza di ripetizione delle scariche (meno di una al giorno) è incompatibile con la continuità di una produzione commerciale, che richiederebbe almeno un’esplosione al secondo.
Il prossimo esperimento di ICF sarà infatti l’ultima ricerca sulla fusione con obiettivi civili al laboratorio di Livermore. Infatti il Department of Energy americano ha deciso di non finanziare ulteriormente ricerche sulla fusione con la NIF, ma dedicarla completamente a ricerche militari. La missione centrale del NIF, e la motivazione della sua stessa realizzazione, è infatti fornire informazioni e dati sperimentali di interesse militare, in particolare utili per la tecnologia delle armi termonucleari e per il programma di gestione dell’arsenale nucleare americano dell’Amministrazione per la sicurezza nucleare nazionale (NNSA).
Va osservato che di fatto l’implosione delle capsule ICF produce una micro-esplosione fisicamente analoga a quella del secondario a fusione di un’arma nucleare. Inoltre il meccanismo indiretto di implosione con raggi X è lo stesso che porta nelle armi all’innesco delle reazioni di fusione; nelle armi i raggi X sono generati dall’esplosione di un ordigno a fissione, anziché dall’impulso laser.
Proprio a causa dell’analogia con le armi, solo nel 1994 sono state declassificate dagli USA le informazioni relative all’ICF con meccanismo indiretto. Ricordo che negli anni ’80 negli incontri della comunità scientifica internazionale interessata all’ICF non riuscivamo a comprendere i risultati dei teorici di Livermore, che non potevano rivelare che i loro calcoli si basavano appunto sull’illuminazione indiretta, a causa del segreto militare.
Dati preziosi dopo il bando dei test nucleari
I processi di fusione inerziale indotti alla NIF permettono lo studio dei regimi fisici che si susseguono nelle armi a fusione: il trasporto e la deposizione della radiazione X, l’implosione del secondario, l’ignizione, la resa energetica, il flusso neutronico. Forniscono dati in un importante regime sperimentale a cui è estremamente difficile accedere altrimenti, favorendo la comprensione dei processi fondamentali di accensione e combustione della fusione e offrono una migliore comprensione delle precise condizioni necessarie per avviare e sostenere una reazione di fusione. Inoltre si possono considerare gli effetti su materiali esposti, per verificare come l’elettronica e gli altri componenti di un’arma resistono alle intense esplosioni di radiazioni previste in un ambiente di guerra nucleare.
Le informazioni permettono in particolare di verificare la validità delle simulazioni cibernetiche del comportamento delle armi nucleari, calibrare i codici numerici e di aggiungere dati nei modelli alla base delle simulazioni. Queste simulazioni computerizzate sostituiscono i test esplosivi (sospesi dagli anni ’90 per pressioni della società civile e banditi dal trattato CTBT) finalizzati al controllo della qualità degli arsenali e per i necessari interventi di conservazione e modernizzazione. Le ultime campagne di esplosioni sperimentali di alcuni paesi avevano essenzialmente lo scopo di verificare la correttezza delle previsioni delle simulazioni al calcolatore, rese possibili dagli enormi sviluppi hardware e software dell’informatica.
Mantenere l’arsenale nucleare sicuro, inviolabile e affidabile rimane una necessaria priorità per gli stati con armi nucleari, ed è inoltre loro interesse estendere al massimo la vita operativa degli ordigni. Test esplosivi a piena potenza rimangono invece necessari per la messa a punto di nuove classi di ordigni, per cui la moratoria ventennale della sperimentazione da parte delle maggiori potenze fa sperare che esse abbiano rinunciato a significativi sviluppi qualitativi dei propri arsenali. L’importanza della cessazione dei test è sottolineata dall’annuale “giornata internazionale contro i test nucleari” del 29 agosto, promossa dall’ONU con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza e l’educazione “sugli effetti delle esplosioni di test di armi nucleari e sulla necessità della loro cessazione come mezzo per raggiungere l’obiettivo di un mondo libero dalle armi nucleari”.