Iter va alla Francia

La fabbrica dell’energia del futuro avrà sede in Francia. Cadarache, vicino Marsiglia, è stata scelta il 28 giugno scorso come sede di ITER, il progetto dedicato alla costruzione del primo reattore a fusione calda. Una fonte d’energia simile a quella che alimenta le stelle, che potrebbe sostituire, fra qualche decina di anni, i combustibili fossili e il nucleare da fissione. Un progetto che fa gola ai paesi più potenti del mondo. Infatti, nel consorzio che lo promuove ci sono tutti: Stati Uniti e Unione Europea, Russia e Cina, Giappone e Corea del Sud. Un gruppo eterogeneo che negli ultimi due anni ha dato a un tira e molla che ha praticamente bloccato i lavori. Protagonisti della diatriba Giappone e Francia (che ora ha avuto la meglio), ragione del contendere il sito dove si sarebbe costruito il prototipo. Una scena insolita per un progetto di “big science” svincolato da applicazioni militari. E che, in più, non avrà applicazioni commerciali prima del 2030. Tanto interesse è dovuto al fatto che molti paesi vedono avvicinarsi il cosiddetto “oil peak”, il momento cioè in cui alla crescente domanda di petrolio non corrisponderà più una produzione crescente. E proprio il Giappone e l’Unione europea sono fra i paesi più dipendenti dall’estero, per mancanza di risorse interne. L’interesse è dovuto anche all’alto profilo tecnologico, e al coinvolgimento di parecchie industrie. Prima fra tutte, quella nucleare, che negli ultimi tempi si muove in uno scenario incerto, in attesa di una rinascita auspicata da molti, ma assai difficile da realizzare concretamente. Per questo enclave economico, Iter rappresenta un’opportunità di riciclare strumenti e competenze. Ancora una volta, Francia e Giappone sono fra i maggiori esponenti di quest’industria. Non a caso, l’altra candidata europea era la Spagna, mentre l’Italia è ben presto uscita dai giochi proprio per la mancanza di una tradizione solida nel campo. Ma le industrie coinvolte sono anche di altro tipo. Per esempio quella dei superconduttori, rappresentata in Italia dall’Ansaldo. O quella aerospaziale, che svilupperà materiali resistenti a temperature simili a quella del Sole. Infine, tanto interesse internazionale è dovuto anche al fatto che qualche applicazione militare potrebbe comunque figurare nei programmi di Iter, come ha affermato Greenpeace Francia.Le critiche degli ecologisti francesi suonano, però, come una ripetizione di quelle rivolte al nucleare da fissione: la sicurezza, lo smaltimento delle scorie. Problemi che, in teoria, Iter non dovrebbe presentare. La fusione non si basa su una reazione a catena che può sfuggire di mano, e produce poche scorie radioattive a vita assai breve: un centinaio di anni, comparati con le decine di migliaia delle più pericolose fra le scorie di fusione. Una critica più sottile è invece venuta dai Verdi, che si sono concentrati soprattutto sulla ripartizione dei fondi. Vale la pena investire 10000 milioni di euro in un progetto dall’esito remoto e incerto? Effettivamente, il rappresentante europeo nel consorzio, il fisico Carlos Alejandre, ha dichiarato: “Questo è un esperimento scientifico: il risultato non può essere garantito”. Aggiungendo ottimisticamente: “D’altra parte, potrebbe anche essere tutto più facile di come ci sembra ora”. La critica dei Verdi è rivolta soprattutto all’entusiasmo mostrato dal governo francese per questo progetto, a fronte della sua freddezza verso le energie alternative. “Queste, però, possono contare su crescenti investimenti privati”, commenta Federico Casci, portavoce dell’Accordo europeo per lo sviluppo della fusione (Efda), “mentre se nella fusione non investono gli Stati, certo nonlo faranno le industrie”. A ogni modo, adesso Iter è in pista di lancio. La pace fra Giappone e Ue è fatta, e non è stata gratuita. L’Unione pagherà la metà del progetto, e gli altri cinque paesi il 10 per cento ciascuno. Ma il Giappone riceverà la quota speciale del 20 per cento dei benefici, in termini di ordini di componenti alle sue industrie e di partecipazione di personale nel progetto, a detrimento della quota europea, pari al 40 per cento. I prossimi passi del progetto richiederanno un grande impegno scientifico: bisognerà portare il plasma d’idrogeno (che è la materia prima di Iter) a temperature stellari, senza fondere il contenitore che lo contiene. La qual cosa implica “confinare” il plasma, in modo che non tocchi le pareti. Un obiettivo non facile, al cui conseguimento lavoreranno anche gruppi di ricercatori italiani a Milano, Padova e Frascati.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here