“Il bello deve ancora venire”

“Abbiamo completato la sequenza del genoma di un singolo essere umano”. Il comunicato emesso giovedì 6 aprile dalla Celera Genomics (http://www.celera.com/), una società privata americana impegnata in ricerche di genetica, scuote il mondo scientifico. Craig Venter, il biologo che ha fondato Celera, brinda al successo per aver bruciato sul tempo i rivali pubblici del Progetto Genoma Umano (http://www.nhgri.nih.gov/). Come? Grazie a una particolare tecnica di sequenziamento che analizza contemporaneamente le due eliche del Dna dopo averlo spezzato in numerosi frammenti. “E per rimetterli insieme” – assicura Venter – “ci vorranno solo poche settimane”.

La mappatura finale del genoma umano, prevista dalla società americana entro l’anno, sarà infatti il primo passo nella comprensione delle malattie genetiche, che potranno quindi essere combattute più efficacemente. Siamo dunque di fronte a una vera rivoluzione scientifica? Galileo ne ha discusso con Edoardo Boncinelli, direttore del Laboratorio di biologia molecolare e dello sviluppo del San Raffaele di Milano, partner italiano del Progetto Genoma Umano.

Professor Boncinelli secondo lei è giustificato tutto questo entusiasmo per la scoperta dei caratteri che compongono il nostro genoma?

“Si tratta senz’altro di un grosso risultato, ma è solo il primo passo di una strada appena aperta. Il bello è ancora tutto da venire, perché la parte più interessante sarà quella dell’interpretazione dei geni. Sequenziare tutto il DNA e capire a cosa serve ogni singolo gene è il compito del domani e richiederà molto più tempo. Comunque, da parte nostra era una notizia del tutto attesa. Si parlava della fine dell’anno, ma noi del campo la aspettavamo da un momento all’altro”.

Quali sono i tempi previsti per ricostruire la sequenza genica del DNA umano e per interpretare la funzione dei singoli geni?

“Per ricostruire l’intera sequenza genica ci vorranno due o tre mesi, diciamo che entro l’anno dovrebbe essere disponibile, ma poi bisogna porsi il problema di cosa farne. A che cosa serve? La sequenza è solo un modo per dare ai centomila geni che costituiscono il nostro DNA un nome e cognome. Ma questo ovviamente non significa ancora sapere quali sono le loro specifiche funzioni. Per sapere a cosa servono tutti i nostri geni ci vorranno ancora decenni, se non secoli. Al momento conosciamo la funzione soltanto di un migliaio di essi. Inoltre spesso un gene svolge più funzioni contemporaneamente, per cui in questo caso isolarne il comportamento diventa più difficile. Tuttavia questo non deve scoraggiarci: di fatto, un passo dopo l’altro è l’inizio di una valanga”.

Tecnicamente come si fa per capire a cosa serve un gene?

“Questo è il vero problema: una cosa è sequenziarli, un’operazione puramente meccanica che può fare benissimo un computer, ma altra cosa è scoprirne la funzione. Per questo, bisogna guardare che cosa succede quando il gene è difettoso. Nel caso degli animali elementari il passaggio è abbastanza semplice: ogni tanto capita che intervenga una mutazione spontanea. Ma nel caso dei mammiferi, come ad esempio i topi, queste mutazioni bisogna crearle appositamente in laboratorio. In media, per conoscere a fondo la funzione di ogni gene ci vogliono almeno tre o quattro anni di ricerca. Ma in qualche caso non saranno nemmeno sufficienti, perché alcuni geni quando vengono alterati bloccano lo sviluppo dell’embrione, e allora bisogna trovare altri trucchi. La nostra fortuna è che non esistono geni specificamente umani, per cui l’intero genoma dell’uomo è osservabile sperimentalmente attraverso i mammiferi inferiori”.

Che cosa ne pensa della competizione tra il settore privato e quello pubblico della ricerca? Il “progetto genoma umano” ne è uscito sconfitto?

“Questa è la dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, che il pubblico non è in grado di competere con il privato. Tuttavia il “progetto genoma” non era poi così in ritardo sui tempi: eravamo arrivati alle battute finali. Anche se bisogna ricordare che i laboratori di ricerca privati hanno iniziato a decifrare il DNA umano un anno dopo di noi, per cui ci hanno messo molto meno tempo. Comunque siamo ancora in corsa per le fasi successive del progetto. Soprattutto per quanto riguarda l’interpretazione delle funzioni dei singoli geni, c’è lavoro per tutti e per tanti anni ancora”.

Venter, autore della ricerca che ha portato alla scoperta delle lettere dell’alfabeto genico, dichiara: “Ora siamo padroni della nostra vita”. Crede che sia un’affermazione plausibile?

“Credo che sia un’esagerazione dettata dall’entusiasmo. Ora possiamo finalmente conoscere la natura biologica dell’essere umano, ma dall’essere padroni della nostra vita siamo ancora lontani. Tanto più che bisogna sempre tenere conto di quel margine di casualità che domina lo sviluppo del nostro organismo. Anzi più che un margine, direi che si tratta di un’ampia fetta del nostro sviluppo, che è comunque condizionata dal caso e dall’esperienza. I geni dettano un programma su come si dovrebbero sviluppare i nostri organi e su come dovrebbero funzionare, ma poi l’esperienza e il caso ci mettono la loro parte durante la crescita”.

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