Il bluff della “tolleranza zero”

Il 22 aprile scorso agricoltori, ambientalisti, politici e consumatori si sono dati appuntamento davanti ai magazzini della multinazionale Monsanto. L’intento era chiaro: protestare contro il gigante delle biotech, accusato di non rispettare le norme italiane in fatto di Ogm importando in Italia lotti di sementi contaminate. Come quelli intercettati più di un mese fa nei porti di Trieste, Genova e La Spezia che ora si trovano in stato di “fermo sanitario”: la soia Sygenta nei magazzini di Madignano, in provincia di Cremona, il mais Pioneer ancora nel porto ligure, la soia Monsanto negli stabilimenti di Lodi presi di mira dalla manifestazione. Lo stato di agitazione si è poi ripetuto il giorno successivo davanti al Ministero delle politiche agricole, per chiedere al ministro Giovanni Alemanno il rispetto delle legge che prevede la tolleranza zero. O per lo meno, come ha detto Massimo Pacetti, presidente della Confederazione Italiana Agricoltori, “di un provvedimento, da parte dei ministeri competenti, che fissi una soglia di tolleranza realistica e praticabile”.

A riscaldare gli animi non sono solo le quasi 600 tonnellate di soia e le 450 tonnellate di mais sequestrati: secondo i Verdi ambiente e società (Vas), in Italia ci sono altre centinaia di quintali di sementi contaminate tra lo 0,1 e lo 0,4 per cento, sebbene l’obiettivo dichiarato dal Ministero sia quello della tolleranza zero. Come fare però a garantirlo? Un problema che ha almeno due facce: quella scientifica e quella politica. Da una parte ci si interroga sulla reale possibilità di garantire l’assenza di sementi geneticamente modificate all’interno dei lotti, dall’altra sulla designazione dell’autorità che dovrebbe eseguire i controlli. Su entrambi i punti la discussione è infiammata. Non c’è da stupirsi visto che importiamo 8.800 tonnellate di soia su 12.000 totali seminate e 17.600 tonnellate di mais su 27.000. “Il 65 per cento della soia seminata nel nostro Paese viene importata dall’America del Nord”, spiega Norberto Pogna, responsabile dell’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura del Ministero delle politiche agricole. “Così come il 45-50 per cento del mais. I silos e i centri di stoccaggio sono sempre gli stessi e c’è un inevitabile contatto tra i vari raccolti. È logico quindi che vi sia sempre una presenza accidentale di Ogm”. L’inevitabilità e l’accidentalità del contatto è la tesi sostenuta anche dalla Monsanto e dall’Associazione Italiana Sementieri. Che per questo chiedono a gran voce l’istituzione di margini di tolleranza.

“Per fare un’analisi genetica occorre distruggere il campione. Se si vuole la tolleranza zero, occorre controllare l’intero lotto e quindi distruggerlo interamente”, va avanti Pogna. “Se si parla ancora di tolleranza zero è solo per motivi demagogici, nessuno scienziato serio si azzarderebbe a dire una falsità simile. Non a caso l’Unione Europea ha emesso una direttiva (che sarà operativa da ottobre, n.d.r.) in cui specifica i margini di accettabilità di presenza di Ogm nelle sementi: 0,3 per cento per la colza, 0,5 per il mais e 0,7 per la soia”.

Ma gli ambientalisti non sono d’accordo. “Chi non si vuole adeguare alla tolleranza zero deve evitare di trovare giustificazioni tecniche”, ha dichiarato Loredana de Petris senatrice dei Verdi e membro della Commissione Agricoltura di Palazzo Madama. “Sono già disponibili sul mercato prodotti sementieri italiani ed esteri certificati Ogm-free che garantiscono all’agricoltore che acquista, con assoluta certezza, l’assenza di contaminazione, e dimostrano concretamente che il processo di produzione, trasporto e commercializzazione può essere preservato adeguatamente da contatti con materiale transgenico”. Imporre una soglia di tolleranza per gli ambientalisti significherebbe rendere inevitabile la contaminazione di tutti i prodotti alimentari che ne derivano e mettere i consumatori di fronte a un fatto compiuto, impedendo così ogni possibilità di scelta.

Sulla strada della tolleranza zero va avanti anche il ministro Alemanno, impegnato a non disattendere le promesse fatte ai consumatori. Che rilancia assicurando controlli accurati. Già ma chi dovrebbe fare le analisi? Qui si innesca la seconda polemica. Secondo Ivan Verga, responsabile della campagna Ogm dei Vas: “Non solo il metodo diagnostico adottato ha alti livelli di imprecisione, ma anche chi si dovrebbe occupare dei controlli lo fa superficialmente e senza professionalità”. Nei mesi scorsi l’Agenzia delle Dogane ha inoltrato agli uffici dei porti una circolare nella quale affermava che il Ministero delle Attività Produttive era responsabile della campionatura solo del 15 per cento dei carichi, mentre il restante 85 per cento doveva ritenersi di competenza delle autorità sanitarie. In altre parole ci doveva pensare il Ministero della Salute. Peccato che il ministro Girolamo Sirchia si sia fatto promotore di un’altra circolare indirizzata agli uffici della Sanità Marittima dove si afferma che “le materie prime vegetali destinate alla semina non rientrano fra le attribuzioni della direzione, mentre gli uffici portuali di fitopatologia non dispongono a oggi di strumenti tecnici adeguati per fronteggiare le competenze loro assegnate”. Insomma, al di là delle discussioni tecniche e scientifiche, appare chiaro che non esiste una chiara e unanime volontà di procedere ai controlli.

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