Il carbonio di Marte viene dal magma

Su Science si parla di nuovo di Marte, dei suoi crateri e dei composti organici presenti in alcuni meteoriti marziani. Andrew Steele (Geophysical Laboratory del Carnegie Institution of Washington) e i suoi collaboratori hanno analizzato alcuni frammenti di asteroidi provenienti dal pianeta rosso, e vi hanno trovato molti idrocarburi complessi incapsulati in grani di minerali. Una scoperta che potrebbe aiutare a chiarire l’origine del carbonio sul nostro vicino d’orbita. Jim Zimbelman invece, insieme al suo team del Center for Earth and Planetary Studies, ha individuato nuovi crateri all’interno della depressione del pianeta nota come Fossa delle Meduse, e ritiene che questa sia più antica di quanto stimato finora. 

La prima scoperta deriva dallo studio di 11 meteoriti marziani, frammenti rocciosi sparati nello Spazio in seguito a tempeste meteoriche e piovuti fin sulla Terra. I ricercatori hanno analizzato la struttura interna dei campioni (grazie alla tecnica della spettroscopia Raman), e hanno rilevato la presenza di complessi del carbonio e dell’idrogeno, cioè idrocarburi, in ben 10 di essi. Sembra quindi che il carbonio sia decisamente diffuso nelle rocce basaltiche marziane, ipotesi questa che la missione della Nasa Mars Science Laboratory potrà presto verificare. 

Questi idrocarburi si presentano completamente rivestiti dai minerali che si sono formati in seguito al raffreddamento del magma. Secondo i risultati delle analisi, l’origine del carbonio nelle rocce del pianeta rosso non sarebbe biologica ma, appunto, magmatica. In pratica, il carbonio verrebbe trasferito dall’interno del pianeta alle rocce del mantello attraverso il magma che, raffreddandosi, cristallizza e origina le rocce basaltiche della superficie. Processi del tutto analoghi potrebbero essere avvenuti in altri pianeti, compresa la nostra Terra

L’origine e il ciclo del carbonio su Marte sono oggetto di un dibattito molto acceso, e varie ipotesi sono state formulate finora. Fra le possibili teorie serpeggia anche il sospetto di una possibile contaminazione terrestre dei meteoriti marziani. Ecco perché, con l’idea di fugare questo dubbio, i ricercatori hanno scelto di inserire tra i campioni anche Tissint, il meteorite precipitato nel deserto del Marocco neanche un anno fa (nel luglio del 2011), poco contaminato. 

Poiché, poi, le età dei meteoriti studiati abbracciano un arco di 4,2 miliardi di anni della storia marziana, gli scienziati sono convinti che il ciclo del carbonio sia rimasto attivo per lungo tempo sul pianeta, e non è escluso che lo sia ancora. 

La seconda sorpresa riguarda l’età della Fossa delle Meduse, la depressione che si estende per circa mille chilometri lungo l’equatore di Marte e che costituisce uno dei depositi più misteriosi del pianeta rosso. Si ritiene che sia stata scavata dalle eruzioni vulcaniche e che, in epoche lontane, abbia contenuto ghiaccio

Ora Zimbelman e i suoi colleghi hanno individuato nuovi crateri all’interno della fossa. Si tratta di una scoperta molto importante, in quanto è proprio il numero di queste cicatrici a permettere la datazione della superficie di Marte. 

La regola utilizzata dai planetologi per datare le varie zone è semplice e lineare: una regione con molti crateri si è originata in tempi più remoti. Lo studio suggerisce quindi che la Fossa delle Meduse sia più antica del previsto: gli scienziati sostengono che i crateri si sarebbero formati nel periodo Esperiano (da 3.500 a 1.800 milioni di anni fa). 

La regione ovest della Fossa delle Meduse analizzata nello studio non è troppo distante dal cratere Gale, quello in cui è previsto l’atterraggio del rover della Nasa Curiosity in agosto. Proprio i dati di Curiosity potrebbero confermare questi ultimi dati. 

via wired.it 

Credit immagine a DUCKofD3ATH / Flickr 

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