Il cattura cancro

Si chiama terapia per cattura neutronica (Neutron Capture Therapy – Nct) e promette di essere un valido strumento per la cura di alcuni tipi di tumore altrimenti inguaribili. “Malattie che portano al decesso nel giro di pochi mesi, come nel caso dei glioblastomi, tumori del cervello detti anche ‘octopus’, perché si infiltrano fra le cellule sane, rendendo sostanzialmente impossibile l’eliminazione delle cellule tumorali sia per via chirurgica, che con la radioterapia convenzionale. E lo stesso si può dire dei tumori metastatici del fegato, che non si riesce a estirpare chirurgicamente, e il cui trattamento convenzionale porta a cirrosi epatica e quindi alla morte del paziente”. A spiegarlo è stato Marino Mazzini, docente presso il dipartimento di Ingegneria meccanica nucleare, e della produzione della facoltà di Ingegneria dell’Università di Pisa nell’ambito del Workshop Internazionale della Nct da lui organizzato in collaborazione con l’Ifc – Cnr, Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche che si è tenuto dal 28 novembre al 2 dicembre scorsi a Pisa. La Nct sfrutta una caratteristica dell’atomo di Boro-10, la proprietà di assorbire un neutrone termico e rompersi in frammenti a elevata energia. In un tessuto biologico ciò produce un danno all’interno di un volume molto ridotto, che corrisponde a quello di un diametro cellulare. Questo significa che se si riesce a concentrare il Boro-10 all’interno delle cellule tumorali, queste vengono distrutte senza che siano contemporaneamente danneggiate le cellule sane circostanti. Da qui il principio di funzionamento della Nct che si articola in due fasi: nella prima si inietta al paziente una soluzione contenente un farmaco che si accumula prevalentemente nelle cellule tumorali, presentando una concentrazione molto bassa nei tessuti sani, insieme ad atomi di Boro 10. Nella seconda fase, quando il farmaco ha raggiunto una distribuzione ottimale nei tessuti, si procede a irraggiamento con un fascio di neutroni, opportunamente modulato: i neutroni del fascio vengono catturati dal Boro 10 all’interno delle cellule tumorali, che possono venire danneggiate fino alla eliminazione.Condizioni indispensabili quindi per la realizzabilità della terapia, oltre alla perizia di scienziati e medici che la applichino, sono la produzione e il controllo del fascio di neutroni, che avviene tramite acceleratore nucleare o reattore, e la disponibilità del farmaco borotrasportatore. Su questi temi si sono confrontati le decine di ricercatori provenienti da tutto il mondo riuniti a Pisa. Sul fronte della tecnica di irraggiamento le prospettive sono assolutamente incoraggianti: diversi ospedali e istituti di ricerca, fra cui la sezione di Padova dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e l’ospedale San Giovanni Battista- Molinette di Torino, dispongono di tali infrastrutture, e da tempo svolgono progetti di ricerca su questo aspetto. Diversa la musica sul fronte dei farmaci: senza una casa farmaceutica disposta a investire nella ricerca e produzione del farmaco, la Nct diventa, se non un miraggio, un impresa quantomeno difficoltosa. Trattandosi infatti di una terapia ancora in fase di sperimentazione, e quindi non di un mercato sicuro, nessuna azienda ha finora deciso di investire in questa direzione. Ma allo stesso tempo, fintanto che non si potrà fare sperimentazione della terapia secondo i protocolli tradizionali, questa non potrà divenire, se di successo, una terapia standard nella cura dei tumori, e quindi andare a creare un mercato per il nuovo farmaco. Insomma, un cane che si morde la coda.”Occorre comunque andare avanti”, ha sostenuto Mazzini. “I diversi gruppi di ricerca italiani che da oltre cinque anni lavorano per la BNCT dei glomi e dei glioblastomi hanno oramai raggiunto un livello di primo ordine nel panorama internazionale e quindi sono certamente pronti a iniziare anche in Italia il trattamento sperimentale di BNCT sui pazienti affetti da tali patologie”. Fra i successi finora conseguiti e che incoraggiano tale sperimentazione, l’esperimento condotto da Aris Zonta dell’Università di Pavia, che poco meno di due anni fa ha espiantato il fegato a un paziente con tumore epatico, sottoposto l’organo a questo tipo di irraggiamento, e poi reimpiantato l’organo, conseguendo un risultato di rilevanza mondiale.Resta da capire come questo tipo di cura potrà progredire e quale ostacolo potrà costituire l’assenza di finanziamenti per la ricerca sul farmaco, sia da parte dei privati sia da parte delle istituzioni pubbliche.

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