Il colesterolo? Più basso è, meglio è

La comunità scientifica questi dati li attendeva da tempo. Da quando cioè i cardiologi, impegnati nella gestione dei pazienti, soprattutto quelli ad alto rischio, si sono cominciati a chiedere se valesse la pena abbassare il colesterolo LDL ben al di sotto di quelli che sono considerati attualmente gli obiettivi terapeutici. In inglese è la cosiddetta teoria “lower is better”, cioè più basso è meglio. Ma per esserne sicuri ci volevano dei risultati scientifici. Come quelli dello studio IMPROVE-IT, presentati al congresso dell’American Heart Association di Chicago nei giorni scorsi, che dimostrano che sì, abbassare il colesterolo con l’accoppiata ezetimibe/simvastatina, vale la pena: i pazienti con sindrome coronarica acuta trattati così hanno avuto meno eventi cardiovascolari rispetto a quelli che hanno ricevuto la sola simvastatina.

Lo Studio IMPROVE IT (IMProved Reduction of Outcomes: Vytorin Efficacy International Trial) è durato quasi 9 anni e ha coinvolto 1.500 centri in tutto il mondo: numeri che ne fanno il più lungo studio di outcome cardiovascolare condotto su pazienti con sindrome coronarica acuta. “Si tratta di una ricerca dalle caratteristiche uniche”, ha dichiarato Giuseppe Ambrosio, ordinario di Cardiologia all’Università di Perugia. “Prima di tutto perché non ha valutato solo l’efficacia di una statina, ma la combinazione di una statina con ezetimibe, che ha un meccanismo d’azione differente. In secondo luogo per la numerosità della popolazione che ha coinvolto, perché i pazienti sono stati seguiti nel tempo così da poter testare nel modo migliore sia gli effetti benefici sia anche gli eventiuali effetti collaterali del trattamento”.

Lo studio è partito da un evidenza: i pazienti ad alto rischio trattati con statine, compresi quelli che hanno valori bassi del cosiddetto colesterolo cattivo (C-LDL), continuano a rimanere a rischio cardiovascolare. L’idea quindi era quella di vedere se, abbassando il colesterolo LDL ben al di sotto di 70 mg/dL grazie all’aggiunta di ezetimibe a una statina si potessero ridurre ulteriormente gli eventi cardiovascolari. E così è stato: a sette anni dall’inizio del trattamento, si è verificato un evento nel 32,7 percento dei pazienti in terapia con l’associazione rispetto al 34,7 percento dei pazienti trattati con la sola simvastatina. Con una riduzione del rischio relativo del 6,4 percento per i pazienti che hanno preso l’associazione.

“Si tratta di una pietra miliare nella storia della prevenzione cardiovascolare secondaria”, ha commentato Gaetano De Ferrari, cardiologo all’Università degli Studi di Pavia. “L’importanza di questa novità è tale da farci ritenere opportuno che le nuove linee guida siano riscritte in tempi brevi sulla base di questo studio. Gli italiani hanno dato un contributo importante con quasi 600 pazienti arruolati, terzo paese in Europa per partecipazione allo studio”.

L’efficacia dell’accoppiata si deve al diverso meccanismo delle due molecole, che agiscono in maniera complementare. Le statine prendono di mira la sintesi del colesterolo a livello organico, l’ezetimibe impedisce l’assorbimento della molecola a livello intestinale. Studi precedenti avevano dimostrato che alte dosi di statine, e quindi un’inibizione potente della sintesi di LDL, inducono l’organismo a bilanciare questo deficit aumentando l’assorbimento a livello intestinale della molecola. L’aggiunta di ezetimibe va a bloccare questo escamotage organico, che potrebbe essere proprio la causa della permanenza di una condizione di rischio cardiovascolare in alcuni pazienti, sebbene vengano trattati con alte dosi di statine.

 

2 Commenti

  1. Le statine? No grazie, se continuano così ce le rifilano anche per condire gli spaghetti.

    Quasti studi statistici sono ridicoli, hanno un valore scientifico discutibile.
    E pio che altro? Abbassarlo à zero? Non dimentichiamo che il colesterolo protegge dai tumori e serve alle cellule per regolare i flussi ormonali, un dettaglio

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