La crisi mediorientale si sposta sul Web. Palestina e Israele, infatti, non si scontrano solo nella striscia di Gaza, ma anche su siti Internet e social network. Diverse pagine sono state bloccate o modificate, alcuni account di Facebook bloccati. Una battaglia, definita hacktivismo, che ovviamente non miete vittime, ma che alimenta un clima di paura e di diffidenza.
All’inizio di gennaio alcuni hacker pro-Palestina, chiamati “Squadra della pace”, hanno modificato siti Web istituzionali, come quello dell’esercito statunitense e quello dell’assemblea parlamentare della Nato, sostituendo alcune pagine originali con l’immagine di un ragazzo che lancia sassi a un carro armato israeliano a Gaza. Altri hacker sono riusciti a reindirizzare i siti del quotidiano israeliano Ynetnews.com e della Israel Discount Bank, portando i visitatori su pagine contenenti messaggi antisemiti e immagini della prigione di Abu Ghraib in Iraq. Secondo alcuni religiosi islamici, questi attacchi informatici rappresentano una “Jihad elettronica”, una forma di lotta contro gli infedeli.
Ma anche la fazione israeliana ha usato il cyberspazio per portare avanti l’offensiva in Rete: lo scorso anno gli hacker hanno modificato tre siti Web palestinesi, inserendo pagine con la propria bandiera e il simbolo dell’ormai vietato partito di estrema destra Kach, mentre il giornale on line Arabs48.com ha ricevuto ripetuti attacchi.
Lo scontro ha coinvolto anche Facebook. Recentemente sono sorte dozzine di gruppi legati al conflitto nella striscia di Gaza. Tra questi spiccano “Let’s collect 500.000 signatures to support the Palestinians in Gaza”, arrivato a più di seicentomila adesioni, e “I Support the Israel Defense Forces In Preventing Terror Attacks From Gaza”, con più di 84mila associati. Alcuni hacker, usando il logo del Jewish Internet Defence Force (Jidf) hanno preso il controllo di diversi gruppi, rimuovendone il contenuto e sostituendolo con affermazioni a supporto della politica di Israele e critiche ad Hamas. (a.g.)
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