Il Dna come memoria digitale

Una memoria genetica, riscrivibile, dove l’unità fondamentale dell’informazione è sempre il bit, ma genetico. I due stati logici fondamentali – 0 e 1 – sono infatti rappresentati dall’orientamento del dna all’interno della cellula, e sono controllati dall’azione di due diversi enzimi. Così da trasformare il patrimonio genetico in un archivio dati in vivo. Utile, per esempio, per studiare i processi biologici alla base dell’ invecchiamento, della crescita o del cancro“Uno dei luoghi più cool dell’informatica è all’interno dei sistemi biologici”, ha commentato così Drew Endy della Stanford University, a capo dello studio pubblicato su Pnas

L’elemento alla base del sistema sviluppato dai ricercatori è infatti il cuore dei sistemi biologici: il dna. Per natura la molecola genetica contiene un’enorme quantità di informazioni, scritte con l’alfabeto dell’adenina, timina, guanina e citosina. Gli scienziati di Stanford hanno però pensato di ampliare la quantità di informazioni che sono contenute nella doppia elica. Come? Sfruttando anche la direzione della molecola. 

Il sistema da loro ideato, una sorta di piccola memoria, si chiama Recombinable Addressable Data (Rad) e, mantenendo l’analogia con i sistemi binari, è in grado di rappresentare due diversi stati logici, a seconda della direzione del tratto di dna associato (normale o invertito, 1 o 0). Questo può essere variato grazie all’uso combinato di un sistema enzimatico. 

Il passaggio da uno stato all’altro si realizza in tre fasi: taglio del dna, inversione e ricombinazione, ovvero il re-inserimento del tratto escisso nel materiale genomico. A gestire queste diverse fasi è il lavoro bilanciato di due enzimi di origine batteriofagica, l’integrasi e l’escissionasi. Gli scienziati di Stanford hanno pensato di testare il loro metodo su una cellula batterica, modificata geneticamente in modo tale che diversi orientamenti di uno specifico tratto di dna fossero associati all’emissione di diverse fluorescenze: verde se in un verso, rossa se in un altro. Così il passaggio da uno stato all’altro sarebbe stato più facile da osservare. 

Realizzato il costrutto genico, i ricercatori si sono messi al lavoro alla ricerca delle migliori concentrazioni e rapporti di enzimi che potessero correttamente mediare l’inversione del tratto di dna, e quindi far passare lo stato logico dallo 0 all’1 e viceversa. “Il problema infatti è che se entrambi gli enzimi sono attivi allo stesso tempo, o concentrati nella quantità sbagliata, si crea una confusione e la cellula produce risultati casuali”, ha spiegato Pakpoom Subsoontorn, tra gli autori della ricerca. 

Ma dopo 750 tentativi, gli scienziati sono riusciti ad arrivare alla giusta concentrazione di enzimi, tale da far funzionare correttamente il sistema: ovvero, quando l’input è un segnale per la produzione di integrasi il dna si inverte, mentre se il segnale riguarda la produzione di integrasi ed escissionasi insieme, la sequenza ritorna al suo iniziale orientamento. Uno scriviimmagazzina cancella, tipico dei sistemi digitali, insomma. 

In questo modo, disponendo di un sistema regolato e capace di tornare allo stato inziale, è stato possibile realizzare un data storage a dna completamente riscrivibile. E in grado di mantenere l’informazione a lungo, visto che lo stato può essere mantenuto in assenza di espressione genica anche dopo 100 divisioni batteriche, senza che ne venga compromessa la performance. 

Un sistema del genere, secondo i ricercatori, potrebbe essere utilizzato per tenere memoria delle divisioni compiute da una cellula e impiegato quindi negli studi sull’invecchiamento o sul cancro. Anche se, come spiegano gli scienziati, l’importante è aver dimostrato di poter trasformare il dna in una memoria digitale. Come utilizzarla dipenderà dalle intuizioni di chi vorrà metterci mano. Intanto, promettono i ricercatori, lo scopo è quello di passare al livello successivo: dal bit al byte.

via wired.it

Credit immagine a jlmaral / Flickr

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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