Il dolore resta invisibile

Il dolore dei pazienti va segnalato in cartella clinica, come anche i farmaci con i quali viene trattato. Lo prevede la legge 38/2010 sulle cure palliative e la terapia del dolore, approvata lo scorso marzo. Una novità assoluta, che apre la strada al riconoscimento del dolore come malattia e non solo come sintomo. Peccato che a distanza di 4 mesi questa norma resti lettera morta. Troppo pochi, solo il 10 per cento, gli ospedali italiani in cui si misura il dolore. La denuncia arriva dal convegno “Impact 2010” che ha riunito a Firenze gli esperti di oltre 40 società scientifiche per una due giorni (2-3 luglio) di lavori incentrati sul dolore e sull’applicazione della nuova legge.

Un paziente che ha subito un’operazione o, in genere, ricoverato in ospedale ha il diritto di richiedere che il suo dolore sia misurato e controllato con terapie adeguate: medici e infermieri devono segnare in cartella clinica siano le caratteristiche del dolore rilevato e la sua evoluzione, i farmaci utilizzati e i relativi dosaggi. Quest’obbligo è stato introdotto dalla legge 38 recante le “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” (vedi Galileo). “Oggi però sono poche le strutture ospedaliere dove la valutazione del dolore in cartella clinica è una realtà”, ha dichiarato Guido Fanelli, membro del comitato scientifico di Impact 2010 e coordinatore della Commissione terapia del dolore e cure palliative del Ministero della salute. Manca inoltre un collegamento tra ospedale e territorio, visto che al momento delle dimissioni non vengono date indicazioni per chi dovrà continuare a curare i pazienti dimessi.

Per favorire l’applicazione reale della legge, gli esperti riuniti nel convegno hanno posto l’accento sulla necessità di adottare linee operative univoche per l’inserimento dei dati nella cartella clinica e criteri di misurazione del dolore adatti ai diversi ambiti terapeutici, spesso totalmente diversi per tipologia di paziente e sensazione dolorosa. In tal senso è fondamentale, in ambito universitario, prevedere un corso ad hoc sul dolore e, a livello post universitario, corsi di formazione per gli specialisti. Il comitato di Impact 2010 lavorerà con le società scientifiche e le istituzioni per finalizzare i programmi di formazione da realizzarsi nei prossimi mesi. I risultati si discuteranno nell’edizione 2011 del convegno.

C’è poi da migliorare la comunicazione tra medici, pazienti e istituzioni sanitarie. In Europa sono 75 milioni le persone che soffrono di dolore cronico, pari al 19 per cento della popolazione adulta. L’Italia si posiziona al terzo posto dopo Norvegia e Belgio per frequenza di casi e al primo per quanto riguarda il dolore cronico severo, che colpisce più di 12 milioni di pazienti. Per molti di loro, la convivenza con la sofferenza dura da almeno un anno, mentre tre su dieci ne soffrono da sei mesi. Nonostante questo, come emerge da un’indagine condotta dall’Associazione vivere senza dolore, spesso i pazienti dimostrano una carenza informativa sul problema, sulle cure disponibili e sui centri a cui rivolgersi e sono insoddisfatti delle terapie. Questa difficoltà nel gestire correttamente il dolore va ricercata in trattamento terapeutico inadeguato e nella mancata misurazione del dolore, appunto, che si traduce in prescrizioni farmacologiche non adatte: oltre il 70 per cento del campione dichiara che le terapie prescritte sono poco efficaci e i medici di famiglia risultano impiegare gli oppioidi in meno di 2 casi su 10.

Per facilitare il dialogo tra medici e pazienti è nato il progetto “Change pain”, una campagna a livello internazionale promossa da Grunenthal e supportata dalla European Federation of Iasp Chapters (Efic). L’obiettivo è aumentare l’attenzione sul tema del dolore, la comprensione dei bisogni dei pazienti e lo sviluppo di progetti e soluzioni per supportare gli operatori impegnati a migliorare la qualità di vita di chi soffre di dolore. Nella pratica, Change pain mira a far applicare nei diversi paesi i più alti standard qualitativi nel trattamento del dolore per ottenere una diffusione delle best practice nel settore. (r.p.)

1 commento

  1. concordo sull’assoluta inadeguatezza dei medici a capire prima di tutto il dolore del paziente oncologico e di conseguenza ad agire.
    Non regge neanche il metodo di approccio di un dolore che se complesso non puo’ ridursi alla prescrizione del farmaco ma richiede consultazione tra medici, condivisione e anche prevenzione per evitare di esacerbarlo.
    I medici ti fanno crepare dal dolore poi ti somministrano un’altro principio attivo , intanto…..

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