Il fotone, un messaggero fidato

Negli ultimi giorni del secolo che abbiamo appena salutato si è celebrato un compleanno importante per il mondo della fisica. Il 14 dicembre 1900 veniva infatti presentata per la prima volta con un articolo firmato dal tedesco Max Planck la meccanica quantistica, una teoria destinata a rivoluzionare non solo la scienza, la la visione stessa che fino ad allora si era avuta del mondo. Nello stesso articolo compariva per la prima volta anche quella costante “h” che da allora sarebbe diventata famosa come costante di Planck. Ma pur con i suoi cent’anni, la fisica dei quanti rimane una scienza giovanissima. Gli scienziati ancora si interrogano sui fondamenti stessi di una disciplina così lontana dal senso comune da portare spesso ad apparenti paradossi e contraddizioni. Tanto che lo stesso Albert Einstein, non la considerò mai una teoria completa e soddisfacente con un commento passato alla storia: “Non posso credere che Dio giochi ai dadi”.

Tuttavia, sebbene in apparenza così lontana dal mondo quotidiano e con fondamenta teoriche ancora da stabilizzare, la meccanica quantistica promette ricadute tecnologiche e applicative rivoluzionarie. Per esempio nel settore della crittografia. Nell’era delle reti telematiche, la questione della riservatezza delle comunicazioni è cruciale. Se riuscissero a sfruttare le proprietà dei quanti, il mondo dei bit avrebbe un sistema garantito per la trasmissione di messaggi riservati e chiunque tentasse di intercettarli verrebbe subito scoperto. Come, lo ha spiegato a Galileo Giancarlo Ghirardi, professore di fisica teorica all’Università di Trieste.

“Il problema fondamentale è quello di usare una chiave inviolabile”, afferma il fisico triestino. I sistemi di crittografia impiegati attualmente, infatti, si servono di algoritmi matematici e di chiavi (la cui sicurezza deve pure essere garantita) per cifrare e decifrare ogni particolare messaggio. Semplificando un po’, la sicurezza di un sistema di cifra aumenta con la lunghezza della sua chiave. Ma calcolatori abbastanza potenti possono svelare le chiavi, e nemmeno in troppo tempo. Un comune Pc può scoprire una chiave da 40 bit in sole cinque ore. Nessun computer attuale potrebbe invece violare una chiave lunga il doppio. In compenso, con una chiave da 80 bit le operazioni di cifratura e decifratura sarebbero assai lunghe. E chi aspetterebbe oltre dieci minuti davanti al Bancomat, in attesa che lo sportello riconosca la sua carta? La sicurezza deve oggi scendere a patti con la velocità.

Tutto ciò potrebbe essere evitato. “In crittografia quantistica l’informazione è protetta dalle leggi della fisica e il sistema di comunicazione è totalmente sicuro”, continua Ghirardi, “grazie alle proprietà caratteristiche dei quanti”. L’idea è la seguente: le leggi della meccanica quantistica dicono che una coppia di particelle correlate (per esempio, due cosiddetti “fotoni Einstein-Podolski-Rosen”) danno esattamente la stessa risposta davanti a un particolare test, detto “test di polarizzazione”. Le risposte possibili sono solo due, sì o no, oppure, in linguaggio bit, 1 o 0. La peculiarità quantistica della coppia sta proprio qui: a priori non è possibile sapere quale sarà questa risposta, ma se, eseguendo il test, il primo fotone risponde 1 (o 0), allora abbiamo la certezza che anche il secondo avrà risposto 1 (o 0). Questa proprietà può essere sfruttata per far arrivare a due interlocutori una chiave veramente inviolabile.

“Prendiamo due personaggi”, esemplifica Ghirardi, “Bob e Alice. Alice vuole dire a Bob che lo ama, in modo che nessun altro lo venga a sapere. Si procede così: con una sorgente di luce si “spara” la coppia di fotoni correlati, uno verso Bob e l’altro verso Alice, che sono pronti a riceverli con la macchina per eseguire il test di polarizzazione”. Alice deciderà in modo del tutto casuale, per esempio con il lancio di una moneta, con quale parametro tra due possibili eseguirà il test (verticale o orizzontale, tradotti di nuovo con 1 o 0). Infine annoterà, su due colonne diverse, il parametro scelto per il test e la “risposta” del fotone. Lo stesso farà Bob e l’intera operazione verrà ripetuta centinaia di volte.

Alla fine, Alice e Bob si scambieranno pubblicamente le rispettive stringhe di 1 e 0 corrispondenti al tipo di test eseguito tenendo conto solo dei casi in cui hanno eseguito un test identico (entrambi hanno regolato la propria macchina su “verticale” o “orizzontale”). Se il test è stato identico, dato che i fotoni sono correlati, anche il risultato dell’esperimento deve essere identico ed è conosciuto solo da Bob e Alice che lo hanno eseguito. I due si trovano in mano esattamente la stessa successione di numeri, genuinamente casuale, che può fungere da chiave, l’unica che permette loro di decrittare un testo crittografato. Che sia una dichiarazione d’amore, un piano militare o il codice di una carta di credito, il messaggio è salvo.

Ma non è tutto, il sistema permette anche di scoprire un eventuale spione. Sempre per le proprietà dei quanti, infatti, “un intruso nel sistema di comunicazione dovrebbe intercettare uno dei fotoni per poter a sua volta eseguire il test, e rispedirlo poi al legittimo destinatario, per mantenere segreta la sua presenza”, spiega Ghirardi. “Ma intercettare un fotone di una coppia significa distruggere la correlazione quantistica con il fotone compagno: in pratica, Bob e Alice possono avere risultati diversi sullo stesso test. E questo rivelerebbe immediatamente la presenza della spia”.

Tutto ciò in teoria. Ma in pratica? “Si è dimostrato che le correlazioni quantistiche funzionano a una distanza di 40 Km”, conclude Ghirardi. “Per questo alcune banche di Londra stanno già progettando un sistema di crittografia che riconosca i clienti basato esattamente sulla meccanica quantistica”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here