Il futuro è degli anziani

Se volete vivere a lungo e in buone condizioni di salute trasferitevi in Giappone. Secondo una recente ricerca dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) risulta infatti che quello nipponico è il popolo più sano e longevo al mondo, con una speranza di vita alla nascita che arriva fino a 74,5 anni. Ai primi posti dopo Australia, Francia, Svezia e Spagna si trova anche l’Italia con 72,7 anni. La classifica è chiusa dai paesi dell’Africa Sub-Sahariana: un bambino che nasce oggi in Sierra Leone, ultimo nella lista, vive in media meno di 26 anni.

In contrasto con gli sconfortanti dati africani, nel mondo industriale si è assistito negli ultimi cento anni a quasi un raddoppiamento della speranza di vita che, attualmente, in tutti i paesi ricchi supera i 70 anni. Eppure ci si aspettava che all’allungarsi della vita media, fino a raggiungere “il limite biologico della longevità”, corrispondesse una ripresa del tasso di mortalità fino ad arrivare a una stabilizzazione. In altre parole: se per un certo periodo era naturale che la mortalità calasse dato che la vita media si allungava, da un certo punto in poi, avvicinandosi appunto al limite biologico della longevità, il tasso di decessi avrebbe dovuto ricominciare a crescere.

Ma un gruppo di scienziati californiani del Mountain View Resource guidati da Shripad Tuljapurkar sembra dimostrare il contrario. Dal loro studio, pubblicato su Nature, risulta che nei paesi del G7 – Stati Uniti, Canada, Giappone, Francia, Germania, Italia e Regno Unito – la mortalità negli ultimi cinquant’anni ha continuato a rallentare a passo costante. Estrapolando questo risultato fino al 2050, Tuljapurkar e i suoi colleghi ritengono che la speranza di vita alla nascita nei paesi del G7 sarà maggiore di quella prevista dalle stime governative. Per il Giappone, per esempio, se le stime ufficiali parlano di 82,95 anni, quelle dei ricercatori californiani arrivano a 90,91. Per l’Italia la differenza sarebbe più contenuta: da 82,50 a 86,26 anni. Tuljapurkar che nel suo lavoro ha usato un sistema di predizione stocastico, sostiene che le stime ufficiali sono fatte con metodi conservativi che hanno già dimostrato la loro fallacia nel passato.

Gli errori statistici si spiegherebbero con l’impossibilità di prevedere gli enormi passi avanti della scienza, avvenuti soprattutto nella seconda metà del secolo scorso. All’inizio del secolo infatti molti dei problemi legati alla nutrizione e all’igiene pubblica iniziarono a essere affrontati in modo sistematico. Questo portò a una forte riduzione della mortalità soprattutto fra i bambini e i giovani. A partire dagli anni ’50 si cominciarono a combattere i disagi che colpiscono la fascia più anziana della popolazione. Gli ictus, le malattie polmonari e soprattutto gli infarti iniziarono a fare molte meno vittime rispetto al passato grazie allo sviluppo delle terapie e a un miglioramento delle abitudini alimentari. Nell’ultimo decennio, inaspettatamente, si è anche avuto una riduzione vistosa della mortalità causata dai tumori e dall’Aids. Tutti questi fattori hanno portato a un aumento non previsto della longevità nei paesi industrializzati che ha iniziato a generare incertezze sulle previsioni future. Insomma, potrebbe darsi che la popolazione del futuro sia ancora più anziana di quanto raccontano le stime ufficiali.

La questione non è solo tecnica, come sottolineano i ricercatori. Su queste previsioni si basa infatti l’assetto della società del prossimo futuro. Uno dei problemi più immediati è quello dei costi per le cure di una popolazione sempre più anziana di cui non si può conoscere a priori lo stato generale di salute. Altra questione spinosa è quella che riguarda il sistema pensionistico, che evidentemente andrebbe ripensato drasticamente se avesse ragione Tuljapurkar.

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