Il futuro è qui

Un involucro a “pelle di giraffa”, le cui geometrie si basano sulle formule matematiche che regolano la morfogenesi dei tessuti animali. Non è davvero un caso che questo edificio, progettato dallo studio Zpz Partners, riproduca sulle sue facciate questo singolare disegno, viste le attività cui è destinato. Il nuovo Centro di Medicina rigenerativa “Stefano Ferrari” (CRM) dell’Università di Modena e Reggio Emilia che il 27 ottobre scorso ha aperto ufficialmente i battenti, è infatti uno dei poli più avanzati a livello mondiale nella ricerca e nelle applicazioni terapeutiche delle cellule staminali epiteliali. Qui si cureranno – attraverso la ricerca e sviluppo delle cellule staminali adulte – malattie che al momento non hanno terapie alternative, come le distruzioni dell’epitelio della cornea o malattie rare come l’epidermolisi bollosa, e si lavorerà per ricostruire tessuti epiteliali danneggiati, per esempio, da traumi o ustioni. Il Centro è guidato da Michele De Luca, docente di Biochimica dell’ateneo emiliano e uno dei pionieri in quest’area di ricerca, visto che è stato il primo ricercatore in Europa, oltre 20 anni fa, ad applicare le cellule staminali epidermiche per la cura delle grandi ustioni. Galileo lo ha intervistato.

Professore, partiamo dal principio. Cosa si intende per medicina rigenerativa?

La medicina rigenerativa è la nuova frontiera della medicina: studia la biologia e le applicazioni delle cellule staminali finalizzate alla ricostruzione di tessuti danneggiati. Si basa sulla capacità di espandere in coltura popolazioni di cellule staminali e di condizionarne il differenziamento verso il tipo cellulare caratteristico del tessuto che si cerca di ricostruire.

In particolare, quale sarà l’ambito di ricerca del Centro?

Le attività riguarderanno la ricerca e le applicazioni terapeutiche delle cellule staminali degli epiteli di rivestimento: queste sono, insieme alle ematopoietiche, le uniche cellule staminali arrivate all’impiego in clinica, a differenza di molti altri trattamenti basati sull’impiego di cellule staminali che sono, nelle situazioni più avanzate, in fase di sperimentazione clinica quando non addirittura pre-clinica. Al CRM svilupperemo due linee di ricerca: quella che riguarda la terapia cellulare, coordinata da Graziella Pellegrini, che si occupa da quasi 20 anni della biologia e dell’applicazione delle cellule staminali epiteliali, e quella relativa alla terapia genica, coordinata da Fulvio Mavilio, un precursore nel campo della terapia genica, visto che è stato il primo a livello internazionale a sperimentare la terapia genica utilizzando cellule staminali del sangue e ad applicarla alla cura delle immunodeficienze e di altre malattie genetiche.

In cosa consiste esattamente la differenza tra questi due ambiti di ricerca?

Parliamo di terapia cellulare quando abbiamo una distruzione di un tessuto, come per esempio la cornea danneggiata da un’ustione chimica, o la pelle bruciata dal fuoco, e usiamo le staminali per ricostruire il tessuto. Nel caso della cornea, per esempio, si prelevano le cellule dall’occhio sano e si mettono in coltura per riprodurre il tessuto che verrà poi applicato direttamente sul luogo della lesione. Un settore in cui l’Italia è all’avanguardia, visto che siamo stati i primi al mondo, dieci anni fa, a ricostruire l’epitelio corneale. La terapia genica, invece, consiste nel correggere geneticamente le cellule staminali coltivate per poi reimpiantarle. Con questo metodo trattiamo malattie come l’epidermolisi bollosa, una malattia genetica della pelle che caratterizza i cosiddetti “bambini farfalla”: un progressivo scollamento dello strato superficiale, l’epidermide, da quello più profondo, il derma. Una malattia devastante e che può avere conseguenze anche gravi, e che noi siamo invece riusciti a curare, anche se per il momento in una sola sperimentazione clinica.

Questo per quanto riguarda l’attività presente. E per il futuro?

Gli sforzi dei prossimi anni saranno rivolti alla ricostruzione di tessuti come la mucosa uretrale, la mucosa del cavo orale e, attraverso la collaborazione con ricercatori che si occupano di cellule staminali del tessuto connettivo, alla messa a punto di terapie efficaci nelle grandi perdite di tessuti, come nel caso delle ulcere diabetiche. Uno sforzo, questo, reso possibile da un cospicuo finanziamento (2,8 milioni di euro) ottenuto dalla Regione Emilia Romagna nell’ambito delle risorse messe a disposizione per il sostegno della ricerca universitaria. Il Centro invece è stato realizzato interamente grazie al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, che ha finanziato il progetto con un investimento di circa 13 milioni di euro. Anche sotto questo aspetto, per i radicamenti con il territorio e la capacità di valorizzare le competenze, il Centro rappresenta un modello eccezionale in Italia.

In che senso?

In primo luogo, perché il Centro sarà un “vivaio” di nuove professionalità: infatti qui si creano nuove figure professionali nel campo sia della medicina  rigenerativa che traslazionale, per consentire il trasferimento diretto e l’applicazione immediata dei risultati della ricerca clinica e medica al paziente. Ora lavorano con noi una ventina di persone, ma contiamo di arrivare a 50, 60  tra ricercatori, medici, dottorandi, tesisti… In secondo luogo, perché il Centro, oltre a sviluppare autonomamente attività di ricerca di base, collaborerà con il mondo imprenditoriale attraverso la creazione di “spin off” universitari. E già abbiamo il primo risultato: la costituzione di “Holostem Terapie Avanzate srl”, la prima impresa biotech italiana votata allo sviluppo, produzione e distribuzione di cellule staminali epiteliali per terapie avanzate. La società nasce come partnership fra l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e il Gruppo Chiesi, azienda da sempre attenta all’innovazione, con l’intento di rendere effettivamente disponibili prodotti di terapia avanzata ai pazienti di tutto il mondo.  Holostem opererà all’interno del Centro in una unità di colture cellulari, che è in fase di certificazione Gmp (Good Manufacturing Practices), visto che le colture di cellule staminali sono a tutti gli effetti considerate farmaci per le terapie avanzate.

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