I fortunati soggetti che presentano una variante del gene della longevità, denominata Cloto, sono destinati a godere di capacità di apprendimento, memoria e attenzione fuori dalla norma. Almeno questo è quel che suggerisce una ricerca del National Institute of Health pubblicata su Cell Reports. Per i ricercatori quanto scoperto rappresenta un passo importante nell’affrontare le demenze senili, patologie destinate a raddoppiare ogni venti anni, nel mondo, fino a toccare i 115 milioni di casi nel 2050.
Il gene al centro degli studi prende il nome dalla dea greca che tesse il filo della vita, Cloto appunto, la più giovane delle tre Parche. E giovani a lungo paiono destinati rimanere coloro che presentano una particolare variante di gene, denominata KL-VS. Questi soggetti, raccontano gli scienziati, tendono a vivere di più, ad avere un minore rischio di ictus, a fornire risposte migliori su una batteria mirata di test cognitivi, a prescindere da età, sesso e persino concomitante presenza di fattori di rischio Alzheimer.
A questi risultati i ricercatori sono arrivati testatando oltre 700 soggetti, fra i 52 e gli 85 anni, nell’ambito di tre studi. Il 20/25% dei partecipanti che presentava la variante genetica in questione ha raggiunto risultati sensibilmente più positivi rispetto al campione restante. Per avere ulteriori conferme a quanto osservato, i ricercatori hanno incrementato il livello della variante positiva Cloto in topi geneticamente modificati, osservando che non solo gli animali sono vissuti di più, ma hanno dimostrato maggiore capacità di memoria e apprendimento, indipendentemente dall’età.
Per i ricercatori le capacità della variante benefica di Cloto risiedono nell’abilità di potenziare il trasferimento d’informazioni fra cellule nervose. Da numero ed efficienza delle sinapsi dipendono infatti tutte le attività nervose, dai più semplici comportamenti riflessi alle più avanzate funzioni cognitive. “Questo studio dimostra l’importanza dei geni che regolano i processi d’invecchiamento” ha commentato Suzana Petanceska, direttore del programma di ricerca. “Capire i fattori che controllano i livelli e le attività di Cloto su più sistemi d’organo può aprire nuove vie terapeutiche per la prevenzione del declino cognitivo correlato all’età e alla demenza.”
Riferimenti: Cell Reports http://dx.doi.org/10.1016/j.celrep.2014.03.076; Nih
Credits immagine: Ars Electronica/Flickr
Questo articolo è stato prodotto nell’ambito del Master in Giornalismo e Comunicazione istituzionale della Scienza, Università di Ferrara
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