Il medico che parlava troppo

È in carcere dal primo giugno scorso, ma la notizia è trapelata solo in questi giorni, il medico cinese Jiang Yanyong, famoso per aver denunciato nel 2003 che il governo del suo paese teneva nascosta la verità sulla Sars. Il suo gesto fece sì che fosse lanciato l’allarme di una possibile pandemia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò immediatamente lo stato di allerta e mobilitò una task force contro il virus, che, tuttavia, già si era diffuso oltre i confini della provincia del Guangdong. Le omissioni delle segnalazioni dei primi casi di Sars sono state condannate a livello internazionale, perché favorirono il diffondersi dell’epidemia. A febbraio il settantaduenne Jiang era tornato all’attacco, contestando il governo cinese anche per il massacro di piazza Tiananmen. In una lettera alle autorità cinesi Jiang aveva espresso la sua condanna per il drammatico epilogo della rivolta del 1989, in cui morirono sotto i carri armati dell’esercito centinaia di persone. All’epoca Jiang era chirurgo dell’Esercito di Liberazione del Popolo, e soccorse molti feriti di quella strage. Dopo 15 anni ha alzato la voce chiedendo che al partito di ammettere gli errori della violenza sui civili. Per tutta risposta è finito in carcere. Motivo: “ha violato le regole di disciplina dell’esercito e per questo è stato affidato agli organismi militari competenti che lo stanno rieducando”. Così almeno si legge sul comunicato con cui il governo di Pechino ha risposto al Washington Post, che aveva chiesto le motivazioni di un sequestro ingiustificato e tenuto segreto, finché possibile, alla stampa. (da.c.)

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