Il mistero della fatica cronica

Fiacca, incapacità di concentrarsi e di compiere anche piccoli sforzi fisici persino dopo un periodo di riposo: sono questi i sintomi della sindrome da fatica cronica (Cfs), una malattia di cui si sa ancora poco. Sulle cause sono state formulate solo ipotesi, nella cura sono stati fatti solo tentativi. Per ora l’unica cosa certa sono i sintomi. Classificata per la prima volta negli Stati Uniti all’inizio degli anni Ottanta, da dieci anni a questa parte questa patologia viene studiata anche in Italia da Umberto Tirelli del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano.

Ma quand’è che la fatica diventa una malattia? “Dare una definizione del concetto di fatica cronica è sicuramente difficile”, spiega Tirelli, “siamo però riusciti a fissare alcuni punti. Deve trattarsi di una spossatezza molto grave, sia fisica che mentale. Deve durare per almeno sei mesi, senza che il riposo possa alleviarla; e anzi bastano piccoli sforzi per creare un senso di fiacchezza accentuata”. Accanto a questo, tutta una serie di sintomi che accompagnano la stanchezza: faringite, dolori muscolari e articolari, cefalea, ma anche dolori delle ghiandole linfonodali cervicali e ascellari. E soprattutto disturbi della memoria e della concentrazione, che impediscano di svolgere le normali attività. “Come una professoressa di matematica che non riesca più a far lezione, o uno studente che non sappia più concentrarsi su un libro. E’ una malattia che compromette la capacità di svolgere quelle attività intellettuali che il paziente ha sempre svolto”. Naturalmente i sintomi elencati non devono essere conseguenza di altre patologie.

La sindrome da fatica cronica fu rilevata per la prima volta nel 1980 negli Stati Uniti da due medici di base in pazienti che dopo un’influenza non riuscivano più ad alzarsi dal letto. Le più colpite sono le persone tra i 18 e i 45 anni, in gran parte di sesso femminile. “Ma questo”, suggerisce Tirelli, “potrebbe essere dovuto al fatto che le donne spesso sono più informate degli uomini: potrebbero riconoscere più facilmente i sintomi della stanchezza cronica”.

Un’altra possibile spiegazione è che entrino in gioco fattori ormonali. Le cause della Cfs, infatti, sono ancora tutte da studiare e verificare. La spiegazione più accreditata è che si tratti di una reazione immunologica abnorme a un fatto infettivo – a un virus, dunque – oppure a un fattore esterno, come un’allergia. Si tratta comunque di una patologia abbastanza rara: “Secondo la mia esperienza, la sindrome è diffusa soprattutto là dove ci sia un’attività intellettuale. Non c’è però alcuna dimostrazione scientifica alla base di questi dati”, spiega lo studioso.

Ma dalla sindrome da fatica cronica si può guarire? In verità, ancora non esiste un trattamento definitivo o una medicina che risolva tutti i problemi. La prima cosa, comunque, è arrivare a una diagnosi. “E già questo è molto difficile”, spiega Tirelli. “Per il resto”, aggiunge lo studioso, “i trattamenti sono sostanzialmente dei palliativi, agiscono cioè solo sui sintomi. A volte si registrano vantaggi con terapie immunologiche, oppure con terapie di supporto puro, come la vitamina B12”.

In futuro, però, potrebbe esserci una medicina. Si chiama Ampligen ed è un modificatore della risposta biologica che sembra sia in grado di ridurre i sintomi e aumentare la capacità del paziente di svolgere le normali attività giornaliere. E’ stato sviluppato da un’industria americana, l’Hemispher Biopharma di Philadelphia, e la Food and Drug Administration ne sta valutando gli effetti per consentirne la commercializzazione negli Usa. Ma i tempi della cura si prospettano molto lunghi.

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