Il nonno di Lucy

E’ un ritrovamento che potrebbe far riscrivere la storia della discendenza della specie umana: a Kanapoi, nel nord del Kenya, sono stati infatti scoperti alcuni fossili, 38 frammenti ossei, appartenenti al nostro più antico antenato dalla posizione eretta. Questo ominide, battezzato Australopithecus anamensis, dovrebbe inserirsi nella storia dell’evoluzione un gradino più in basso di Lucy, l’Australopithecus afarensis rinvenuto alla fine degli anni Sessanta da Donald Johanson. Finora Lucy era stata considerata la rappresentante della specie più antica di australopiteci fra quelle conosciute.

L’importanza antropologica della scoperta è grande. “La tibia di A. anamensis dimostra infatti che i nostri antenati avevano raggiunto la stazione eretta mezzo milione di anni prima di quanto si pensasse”, dice a Galileo Carol V. Ward, del Dipartimento di Antropologia della University of Missouri, che ha collaborato alle ricerche condotte in Kenya dall’antropologa Maeve Leakey (nuora della più famosa Mary Leakey). Le teorie evoluzionistiche fanno coincidere la separazione fra l’uomo e la scimmia con il raggiungimento della posizione eretta, cioè a circa 5 milioni di anni fa. L’ultimo ritrovamento conferma queste teorie, ma introduce un elemento nuovo. Alcuni studiosi avevano legato l’avvento della postura eretta ad un cambiamento nelle abitudini alimentari degli ominidi. E infatti il fossile di Lucy, che fino a quest’ultimo ritrovamento era stato considerato il punto di biforcazione tra l’uomo e la scimmia, presentava una dentatura e una mandibola diverse da quelle delle scimmie. Il nuovo Australopiteco, al contrario, pur non camminando più a quattro zampe, ha la mandibola e la dentatura simili alle scimmie: i canini sono ancora molto grandi, al contrario di quanto accade nella specie afarensis, e le differenze fra maschi e femmine sono molto evidenti. I primi, infatti, avevano i canini più grandi e lo smalto più assottigliato, perché usavano i denti come arma. “Questo dimostra”, conclude Carol V. Ward, “che sia i cambiamenti nella dieta che quelli nella dentatura non hanno coinciso perfettamente con l’origine della postura eretta”.

I primi 22 resti fossili di A. anamensis erano stati trovati da Maeve Leakey e dai suoi colleghi nel 1995. La loro scoperta, presentata in un articolo su Nature, aveva però sollevato molti dubbi: la certezza che i fossili ritrovati appartenessero ad una nuova specie, e non invece all’evoluzione di una specie precedente, poteva essere data solo da una loro precisa datazione. Una condizione verificatasi solo con la scoperta dei nuovi 38 fossili. Le nuove ricerche permettono ora di far risalire l’ominide a circa 4,1 milioni di anni fa. L’Australopithecus anamensis è quindi il più primitivo fra gli australopiteci, e le sue caratteristiche morfologiche lo collocano fra l’Ardipithecus ramidus, il genere prima dell’Australopiteco, e l’Australopithecus afarensis.

Dai nuovi fossili è dunque possibile ricostruire alcune delle abitudini alimentari e di caccia del nostro progenitore, mentre poco purtroppo si può capire della sua vita sociale. “Difficile dire in che modo vivesse l’ominide, ma alcuni studi permettono di collegare l’anatomia primitiva alle forme di comportamento”, continua la studiosa americana. I fossili dicono che la taglia dei maschi era almeno il doppio di quella delle femmine. Questa, come altre particolarità di A. anamensis, “fanno pensare ad una società poligama, dove gli accoppiamenti avvenivano all’interno del clan. Lo schema sociale monogamo e di coppia stabile apparirà solo molto più tardi”, sostiene Ward.

Oltre che per gli antropologi, questa scoperta è rilevante anche per gli studiosi dell’evoluzione. A. anamensis rappresenta, infatti, un importante ramo dell’albero genealogico della specie umana. Le sue caratteristiche permettono di dimostrare che l’evoluzione non ha proceduto in modo simultaneo per tutte le parti del corpo, bensì un “pezzo” alla volta, come in un mosaico. Questo significa che la selezione naturale agisce in momenti differenti nelle diverse parti del corpo. Gli scienziati che hanno ritrovato i nuovi fossili pensano che nell’albero disegnato dall’evoluzione umana A. anamensis occupi un ramo più basso di quello occupato da Lucy. L’ipotesi, quindi, è che un’unica specie di ominidi abbia dato vita prima ad A. anamensis, poi ad A. afarensis, quindi ai primi esemplari di Homo. Una teoria, questa, che si scontra con quanti sostengono che la base dell’albero evolutivo abbia invece una forma a cespuglio, cioè che siano vissute e si siano evolute diverse specie di ominidi contemporaneamente. In ogni caso, quale che sia la struttura dell’albero genealogico, la scoperta di questo nuovo ominide permette di datare l’adozione della postura eretta ben mezzo milione di anni prima di quanto si pensasse sinora, perfezionando così la conoscenza del processo evolutivo della specie umana.

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