Il prezzo della pulizia

Un italiano su cinque ha una o più allergie. Dalle forme leggere, come le dermatiti, fino alle più gravi, quali riniti e asma. Che questi disturbi siano diventati un fenomeno sociale, lo dimostra la vertiginosa crescita dei malati negli ultimi 20 anni e il fatto che, per la prima volta, le allergie sono state inserite dall’Unione Europea, accanto a cancro e malattie cardiovascolari, tra i big killer. L’allarme viene dal XXI Congresso europeo di immunologia clinica e allergologica svoltosi a Napoli dal 1 al 3 giugno scorso. Oggi quasi tutti sono d’accordo sul fatto che a scatenare le allergie contribuiscono sia fattori genetici sia ambientali. Da una parte, cioè, questi disturbi si ereditano, dall’altra è l’esposizione ai cosiddetti allergeni a scatenare i sintomi allergici. Ma per spiegare l’aumento vertiginoso delle allergie, soprattutto nei Paesi sviluppati, si fa ricorso anche a una ipotesi che può apparire bizzarra, quella dell’igiene: la lotta allo sporco ingaggiata dalle società moderne tra le mura domestiche, negli alimenti, nelle scuole e negli uffici se ha notevolmente ridotto la diffusione di malattie quali la tubercolosi, la malaria e la dissenteria, ha però favorito l’aumento delle reazioni allergiche. E, addirittura, anche di altre malattie più dannose. Tra queste la malattia di Crohn, cioè un’infiammazione cronica dell’intestino, e il diabete giovanile di tipo I. Come? Rendendo il sistema immunitario più debole, poco allenato a difendersi dagli attacchi esterni e quindi più sensibile.Il primo a lavorare sull’ipotesi dell’igiene è stato nel 1997 Paolo Matricardi dell’Istituto di Neurologia e Medicina molecolare del Cnr di Roma, oggi in forze all’Organizzazione Mondiale della Sanità, con uno studio pubblicato sul British Medical Journal. Dopo aver esaminato più di 1500 cadetti dell’aeronautica militare, il ricercatore concluse che durante la crescita l’esposizione a infezioni trasmesse per via orale, fecale o alimentare può proteggere da asma e raffreddore allergico. A distanza di cinque anni, un’analisi che ha coinvolto circa 34 mila americani mostra che chi aveva contratto l’epatite A o la toxoplasmosi – una malattia causata dal Toxoplasma, un parassita che può avere come ospiti oltre 200 specie animali, tra mammiferi ed uccelli – era meno predisposto allo sviluppo di rinite o asma allergica. Infine uno studio condotto in Svizzera, Baviera e Austria e pubblicato su The Lancet nel 2001 ha concluso che i bambini che vivono nelle fattorie, a stretto legame con la stalla erano protetti dall’asma allergica.Anche se questi studi supportano l’ipotesi dell’igiene, secondo Matricardi è bene procedere cautamente: “l’ipotesi è affascinante, anche perché l’assenza o la riduzione di alcuni stimoli forniti da certi batteri e da altri agenti infettivi sembra privare il sistema immunitario di alcune funzioni di autocontrollo necessarie per impedire risposte anomale verso sostanze innocue esterne (ad esempio i pollini) o interne, come si ipotizza nel caso della malattia di Chron o del diabete giovanile”. Ma quest’ipotesi da sola non basta a spiegare la diffusione dei disturbi allergici. Come dire, trascorrere l’infanzia in campagna non da la matematica certezza di non sviluppare allergie: “questi disturbi sono multifattoriali”, ribadisce Matricardi. Per quanto riguarda la malattia di Crohn, un disturbo in continuo aumento, “l’ipotesi dell’igiene spiega la sua distribuzione geografica: molto frequente in occidente, assente nei Paesi dove sono maggiori le infezioni in età infantile”, aggiunge Francesco Pallone, direttore della cattedra di gastroenterologia dell¹Università di Tor Vergata. Sul legame tra diabete I di tipo infantile – una malattia autoimmune – e ipotesi dell’igiene invece non tutti sono d’accordo. Eppure anche la sua diffusione è aumentata negli ultimi anni soprattutto nelle zone sviluppate del pianeta. Ma che si tratti comunque di un’ipotesi realistica lo mostra uno studio condotto da Jean-François Bach, direttore dell’unità di malattie autoimmuni dell’Istituto Nazionale della Salute francese. Che ha verificato che la frequenza con cui il diabete colpisce topi non obesi di laboratorio varia a seconda delle condizioni igieniche in cui gli animali vivono. I cuccioli infetti da batteri, virus o parassiti non sviluppano poi la malattia.

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