“Non è possibile misurare simultaneamente due grandezze osservabili generiche con precisione arbitraria su entrambe”: è questo il succo del celeberrimo principio di indeterminazione postulato dal fisico Werner Heisenberg nel 1927. In soldoni, il principio implica che, per quanto ci si possa sforzare, non si riuscirà mai a misurare con assoluta precisione tutte le grandezze relative allo stato di un sistema fisico. È una delle strane e controintuitive leggi della meccanica quantistica, che oggi è stata dimostrata, per la prima volta, anche in un sistema macroscopico: un’équipe di scienziati della University of Colorado Boulder, coordinati da T.P. Purdy, ha realizzato un esperimento che rivela gli effetti del principio di indeterminazione su un oggetto visibile a occhio nudo. La scoperta è stata pubblicata su Science.
Uno dei fenomeni che sottosta al principio di indeterminazione di Heisenberg è l’azione meccanica della luce che interviene quando si utilizza un sistema di misurazione ottica. Di cosa si tratta? Immaginiamo di usare, ad esempio, una telecamera dotata di messa a fuoco automatica: la macchina emette un impulso di luce infrarossa che colpisce l’oggetto inquadrato e, calcolando il tempo impiegato dalla luce per tornare indietro al sensore, calcola la distanza tra esso e il piano dell’immagine, regolando l’obiettivo di conseguenza. Ma cosa accadrebbe se l’oggetto colpito dalla luce si muovesse a ogni riflessione? È più o meno quello che succede quando si usano i moderni sistemi opto-elettronici per determinare la posizione di un oggetto quantistico: la luce dà alla particella un “calcio” che rende la sua posizione estremamente incerta e difficile da misurare.
L’azione meccanica della luce è cosa nota da tempo alla scienza: già Keplero aveva suggerito che fosse la ragione per cui le comete hanno una “coda” in direzione opposta a quella del Sole. All’inizio degli anni ’70, poi, Arthur Ashkin dei Bell Laboratories mostrò come i fotoni, le particelle di luce, esercitino una forza su particelle micrometriche: tuttavia, quest’effetto, detto pressione di radiazione da rumore shot della luce, è molto debole e difficilmente osservabile in sistemi macroscopici.
Almeno fino a oggi. Nel suo esperimento, Purdy ha illuminato con un laser una piccola membrana di nitruro di silicio ed è riuscito a misurarne le vibrazioni dovute alla pressione che il rumore shot dei fotoni esercita su di essa. Per osservarlo, gli scienziati hanno dovuto minimizzare tutte le possibili interferenze esterne che avrebbero potuto muovere la membrana, effettuando l’esperimento a temperature molto basse. E, in effetti, il “tamburo” si è mosso: è il segno inequivocabile che la pressione di radiazione dei fotoni ha esercitato un effetto macroscopico sulla membrana.
“Sarà possibile superare il principio di Heisenberg creando sorgenti di luce senza rumore shot?”, si chiede in un articolo di commento Gerard J. Milburn, direttore del Centre for Engineered Quantum Systems alla University of Queensland. E la risposta è, naturalmente, no. “Sebbene tali sorgenti siano in fase di sviluppo, non saranno di alcuna utilità per aggirare il limite nei sistemi opto-meccanici. La ragione è che se l’intensità di una sorgente di luce è stabile al punto da non generare rumore shot, la sua fase diventa altamente casuale, il che rende impossibile effettuare misurazioni precise”. Heisenberg, insomma, avrà sempre ragione.
Riferimenti: Science doi:10.1126/science.1231282
Credits immagine: Brad Baxley and the Regal group, JILA