Il revival delle difese antimissile

Nel settembre 2012 il National Research Council (Nrc) – un ramo della National Academy of Sciences che fornisce ufficialmente pareri tecnici al governo degli Usa – ha diffuso una versione preliminare di un voluminoso rapporto di 16 scienziati ed esperti militari (260 pagine accessibili su www.nap.edu) che, a conclusione di due anni di lavoro, esamina lo stato attuale dei piani di difesa antimissile americani e ne suggerisce una parziale modifica. Questa pubblicazione, assieme alle posizioni prese in maggio a Chicago dalla Nato circa la difesa del territorio europeo contro una possibile minaccia missilistica, ha rinfocolato un dibattito che sembrava un po’ trascurato dopo le decisioni annunciate dalla amministrazione Obama nel settembre 2009 subito dopo essersi installata. Il rapporto ha infatti suscitato immediate reazioni critiche (si veda per esempio quella di G.N. Lewis e T.A. Postol sul Bulletin of the Atomic Scientists) che hanno posto in dubbio la validità delle sue conclusioni e delle conseguenti indicazioni politiche. Ma vediamo di che si tratta. 

Il rapporto del Nrc raccomanda una revisione dell’attuale programma di difesa antimissile Usa per renderlo più efficiente con l’aggiunta di nuovi sensori e intercettori, e in particolare con l’installazione di una ulteriore base antimissile nello Stato del Maine o di New York (attualmente ci sono due basi in Alaska e in California). Viene inoltre indicato che l’impegno finanziario potrebbe essere contenuto all’interno della attuale spesa antimissilistica (circa 10 miliardi di dollari l’anno: dagli anni Ottanta gli Usa hanno ormai speso più 200 miliardi di dollari) se si rinuncia a sistemi costosi e non necessari come la costellazione di satelliti da 28 miliardi di dollari (per il primo anno) destinata a rilevare la traiettoria iniziale di eventuali testate nemiche. Infatti il rapporto suggerisce che gli Usa dovrebbero concentrare il loro intervento sull’intercettazione dei missili nella fase centrale del loro percorso, e non nella fase di partenza e accelerazione (boost-phase) nella quale il tempo disponibile è ridotto a pochi minuti. Peraltro i sistemi basati a terra e installati a questo scopo non possono essere collocati abbastanza vicini alle potenziali minacce, mentre i sistemi basati nello spazio richiedono centinaia di satelliti per un costo totale stimato in 500 miliardi di dollari su vent’anni. La più efficace difesa del territorio americano consisterebbe invece nel puntare a intercettare i missili nella fase intermedia della loro traiettoria nella quale il tempo per intercettarli e abbatterli è più lungo. Gli unici due attuali sistemi di questo tipo (Ground-Based Midcourse Defense, Gmd), collocati in Alaska e California contro eventuali minacce nord-coreane, sono però giudicati insufficienti e si suggerisce quindi di aggiungerne almeno un terzo nel nord-est degli Usa. Inoltre, delle prime tre fasi della difesa antimissile Nato in Europa (Epaa, European Phased Adaptive Approach) previste dalla revisione annunciata dalla amministrazione Obama nel settembre 2009, il rapporto del Nrc raccomanda di cancellare quella finale destinata a impedire che eventuali missili iraniani di lunga gittata possano raggiungere il territorio degli Usa: di queste testate si occuperebbe infatti il nuovo sistema di intercettori basato sul territorio americano proposto nel rapporto. Infine viene suggerito di potenziare la capacità di individuare le testate in mezzo alle possibili contromisure, e di migliorare i sistemi antimissile di teatro come quelli basati sulle navi (Aegis), e a terra (Patriot e Thaad, Terminal High-Altitude Area Defense).

Questo rapporto è stato giudicato come una critica autorevole della strategia adottata dal presidente Obama, e cioè: sminuire l’importanza delle difese contro missili a lunga gittata ereditate dall’amministrazione Bush, e puntare invece sulla protezione dell’Europa (e degli Usa) contro le possibili minacce presentate da Stati come l’Iran – un paese che si trova da tempo sotto osservazione per il suo programma nucleare e missilistico – progettando di abbattere i missili nemici nella fase iniziale del loro lancio. Questa decisione presa nel 2009 è ancora in fase di realizzazione e l’approvazione degli esperti del Nrc è quantomeno parziale, anzi condizionata da un lato alla effettiva realizzazione di alcune sue parti, e dall’altro all’abbandono della sua fase finale a favore di un sistema domestico rafforzato.

Dopo il ritiro degli americani dal trattato Abm (Anti-Ballistic Missile) annunciato da Bush nel 2002 i sistemi antimissile – basati sia negli Usa che in Europa – erano stati ulteriormente sviluppati nonostante critiche e difficoltà politiche, tecniche e finanziarie. La Bmdr (Ballistic Missile Defense Review Report), annunciata in settembre 2009 dalla nuova amministrazione Obama e presentata il 1° febbraio 2010 dal Segretario alla Difesa, si basa invece su una previsione di crescita della minaccia missilistica, in particolare da parte di Corea del Nord e Iran, con vettori sia di lunga gittata che di gittate inferiori. Conseguentemente, dando per acquisito il mantenimento dell’attuale livello di protezione nazionale contro attacchi limitati da parte di Icbm, la Bmdr ha spostato la sua attenzione sulla difesa contro minacce regionali da parte di missili di corta e media gittata contro le quali vanno sviluppati dei programmi militari che devono essere adattati localmente e integrati regionalmente. In particolare l’amministrazione Obama si è impegnata a sviluppare il nuovo Epaa nel contesto Nato con analoghe iniziative in Estremo Oriente, e a proporre conseguenti misure di rassicurazione per Russia e Cina. 

In questo quadro il nuovo rapporto del Nrc propone sostanzialmente un ibrido fra il programma di Bush e quello di Obama in un momento in cui sembrano consolidarsi in Usa i timori sulla natura del programma nucleare iraniano e dei suoi corrispondenti sistemi missilistici. Oggi Tehran dispone solo di missili a corto e medio raggio, ma gli estensori della proposta guardano – con un decennio e più di anticipo – a quelli che loro chiamano “verosimili sviluppi” che metterebbero i missili iraniani in grado di arrivare fino negli Usa. Le conclusioni e i suggerimenti del Nrc sono stati però messi subito in discussione da Lewis e Postol che considerano errate le basi tecniche che inducono il rapporto a concludere che gli Usa non possono realizzare una difesa antimissili contro Icbm iraniani o coreani nella fase di lancio e accelerazione, una possibilità che loro vedono invece in modo particolarmente favorevole. Infatti in quella fase – diversamente da quella intermedia che si svolge fuori dell’atmosfera – contromisure efficaci sarebbero fuori della portata tecnica di Iran e Corea del Nord. Inoltre essi ritengono che il rapporto del Nrc sottostimi i tempi della fase di accelerazione dei missili da abbattere, e contemporaneamente sovrastimi le prestazioni dei radar proposti per il controllo della fase intermedia della traiettoria e per la discriminazione delle testate dalle esche lanciate come contromisure.

È preoccupante però notare come questo dibattito sembri prigioniero di una discussione tecnica sul come realizzare una opportuna difesa antimissile, mentre a dieci anni di distanza la fine del trattato Abm appare come già completamente metabolizzata, sicché anche l’amministrazione del Premio Nobel per la Pace 2009 discute oggi solo di quale progetto sia migliore militarmente o più conveniente finanziariamente. Da un lato infatti, sebbene la Bmdr di Obama si preoccupi di affiancare ai sistemi antimissile in Europa e Estremo Oriente qualche forma di rassicurazione per le altre potenze nucleari (Russia e Cina), i sospetti e i problemi politici a quel livello appaiono lungi dall’essere definitivamente risolti. Si veda a questo proposito lo scambio di opinioni fra i due rappresentanti di Usa e Russia presso la Nato, I. Daalder e N. Korchunov (International Herald Tribune del 6 giugno 2012), avvenuto dopo il vertice di Chicago dell’alleanza: nonostante le frasi rassicuranti, infatti, i russi continuano a pensare che l’attuale architettura di difesa antimissile della Nato nei suoi stadi più avanzati rappresenterà “una minaccia per la sicurezza nazionale della Russia” (timori parzialmente confermati anche in un rapporto di Y. Butt e T. Postol del settembre 2011 per la Federation of America Scientists). Dall’altro resta da domandarsi se tutto questo, con la spesa che comporta, possa essere adeguato alla minaccia rappresentata da un paese come l’Iran del quale anche la sola volontà di dotarsi di armi nucleari è ancora lungi dall’essere dimostrata. Non sembra insomma completamente limpida da un punto di vista politico la conversione di un programma nato negli anni Ottanta con l’ambiguo miraggio di “rendere obsolete le armi nucleari”, rallentato e quasi fermato poi dai costi e dalle difficoltà tecniche e politiche, e infine risuscitato e rilanciato – anche se con minori ambizioni – come programma di difesa contro le minacce degli Stati canaglia. Sembra anzi opportuno domandarsi a questo punto che fine ha fatto lo spirito del trattato Abm: si tratta solo di buone intenzioni fuori moda e appropriate unicamente alla guerra fredda? Dopo il ritiro unilaterale degli Usa dall’Abm nel 2002 dobbiamo dare per acquisita la necessità di dotarsi di una qualche difesa antimissile? Dobbiamo solo decidere quale? Forse un’analisi completa di questi punti sarebbe opportuna, ma ci porterebbe troppo lontano e lo spazio è tiranno.

Credits immagine: Defence Images/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato con lo stesso titolo sul numero di dicembre 2012 di Sapere. Ecco come acquistare una copia della rivista o abbonarsi on line.

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