Il rodaggio del Sudafrica

Durante il trionfale viaggio del presidente Nelson Mandela, corteggiato dai governi conservatori di Gran Bretagna e Francia, la Repubblica del Sud Africa (RSA) ha vissuto un periodo di scosse e turbolenze, politiche, economiche e sociali, che tendono a ridefinirne in termini nuovi l’intero quadro politico. Lo stesso viaggio di Mandela, programmato da tempo, è del resto finalizzato a far conoscere la realtà politica in evoluzione del suo paese, a rassicurare gli ambienti internazionali sulla stabilità politica ed economica del Sud Africa e a promuovere un maggior interscambio con l’Europa occidentale e l’afflusso di capitali privati stranieri, dopo le incertezze provocate dai cambiamenti nel governo e dalla nuova fase di scontro sociale con i sindacati. Ma vediamo innanzitutto quali sono stati i principali mutamenti sul piano politico e istituzionale.

Gli sviluppi nella sfera politico-istituzionale

Nel corso degli ultimi mesi si sono verificati in Sud Africa due rimpasti ministeriali importanti, il primo alla fine di marzo, il secondo a maggio dopo l’annuncio dell’uscita del Nationalist Party (NP) dal governo di unità nazionale. L’8 maggio il Parlamento ha inoltre approvato la nuova Costituzione, che sostituirà gradualmente, entro il 1999, la Costituzione transitoria.
Il rimpasto di fine marzo è stato importante soprattutto perché rifletteva un mutamento di forza tra le diverse ali dell’ANC all’interno del governo. Il rimpasto ha infatti rafforzato la posizione del vice-presidente Thabo Mbeki con la rimozione dal governo di esponenti dei settori più critici della sua politica, segnalando il prevalere del vice-presidente sul fronte della questione decisiva e delicata della politica economica e un suo generale rafforzamento politico come “delfino” di Nelson Mandela e candidato alla presidenza nelle prossime elezioni nazionali del 1999. Il consolidamento della posizione di Mbeki ha avuto, d’altra parte, riflessi sul maggior partito di governo, l’ANC, il cui segretario generale Cyril Ramaphosa ha rassegnato le dimissioni dalla carica per andare a dirigere la compagnia New African Investments che, come vedremo più oltre, svolge un ruolo decisivo nella strategia di promozione dell’imprenditoria nera.
L’8 maggio il Parlamento ha approvato la nuova Costituzione definitiva del paese. L’approvazione è stata immediatamente seguita dall’annuncio del ritiro dell’ex partito di potere bianco, il Partito Nazionalista (NP), dal governo di unità nazionale e delle dimissioni di de Klerk dalla carica di vice-presidente dell’esecutivo. L’uscita dei nazionalisti bianchi dal governo mette fine all’esperienza dell’unità nazionale realizzata per la transizione al sistema democratico e lascia l’ANC a gestire in proprio l’attività governativa. Tuttavia, il partito di Buthelezi, l’Inkatha Freedom Party (IFP), terzo partner del governo, ha annunciato che “per ora” non abbandonerà la compagine governativa.E’ significativo, comunque, che la decisione del NP di uscire dal governo non sia stata gestita come un atto di rottura dirompente del consenso nazionale. La nuova Costituzione è infatti stata approvata a stragrande maggioranza, con i voti favorevoli non solo dell’ANC ma anche dello stesso NP. I parlamentari dell’IFP non erano presenti in aula, mentre gli esponenti dell’estrema destra bianca del Freedom Front, del generale Viljoen, si sono astenuti, dichiarandosi soddisfatti delle assicurazioni sul “diritto all’autodeterminazione” per gli afrikaner.
Il punto politico di maggiore importanza della nuova Costituzione è che mette fine al principio del “power-sharing”, ovvero ai governi di unità nazionale, stabilito invece dalla precedente Costituzione per garantire una transizione piu facile e consensuale. Il sistema politico sudafricano, con l’entrata in vigore della Costituzione definitiva, si fonderà sul classico principio democratico-occidentale del “majority rule”, senza tutelare per legge la presenza nel governo dei partiti di minoranza, come avveniva invece con la Costituzione transitoria. In altri termini, il partito di maggioranza governerà e i partiti di minoranza svolgeranno l’opposizione parlamentare, a meno che non intervengano accordi politici per creare governi di coalizione.La Costituzione contiene inoltre una Carta dei Diritti, molto avanzata e liberale, a tutela delle libertà fondamentali dei cittadini. Tra le altre cose, la Carta prevede il diritto incondizionato alla vita, una formula che dovrebbe portare all’abolizione della pena di morte; un’ulteriore clausola specifica, tuttavia, che tutti i cittadini hanno il diritto di decidere sulla riproduzione e di avere il controllo sul loro corpo, aprendo la strada alla legalizzazione dell’aborto. La Carta dei Diritti prevede l’istituzione della figura di un Difensore Civico e di una Commissione per i Diritti Umani, allo scopo di promuovere anche una serie di diritti sociali (casa, sanità, istruzione, cibo, ambiente).
Per quanto concerne l’architettura istituzionale, la Costituzione definitiva non prevede grandi innovazioni rispetto a quella transitoria: il Sud Africa è definito una Repubblica parlamentare guidata da una presidenza esecutiva; il Parlamento è composto da due camere, un’Assemblea Nazionale eletta e un Consiglio Nazionale delle Province, i cui membri saranno nominati dai consigli provinciali eletti.
Alcune novità sono invece state introdotte nel campo della tutela dei diritti sociali. Il processo di liberazione dall’apartheid e di promozione del riequilibrio tra i gruppi è sottolineato e incoraggiato in diversi articoli. Nell’ambito delle relazioni industriali, infine, la Costituzione sancisce il diritto allo sciopero, mentre non viene garantito costituzionalmente il diritto degli imprenditori alla “serrata”.
Le motivazioni del ritiro del NP dal governo sono molteplici. Il partito di de Klerk è in disaccordo su alcuni punti importanti della nuova Costituzione, quali l’abolizione del “power-sharing”, le norme appena ricordate sulle relazioni industriali e l’abolizione della pena di morte. Inoltre, il NP aveva sperato fino all’ultimo di ottenere maggiori concessioni dalla maggioranza dell’ANC, soprattutto per quanto riguarda la protezione dei diritti delle minoranze razziali e la pena di morte, ed è solo quando è stato chiaro che l’ANC non intendeva dargli soddisfazione che ha deciso di ritirarsi dal governo.Le ragioni principali della decisione dei Nazionalisti sono comunque sostanzialmente politiche e riguardano solo in parte il merito del testo costituzionale. Discendono cioè dalla strategia di ristrutturazione del partito e dello scenario politico sudafricano in vista delle prossime elezioni del 1999. Da questo punto di vista, l’uscita del NP dal governo non è in sé una sorpresa, se non per i tempi in cui siè realizzata. I Nazionalisti hanno infatti la necessità di ridefinire il loro ruolo nel sistema politico, differenziandosi dal partito di maggioranza e distinguendo con più nettezza le responsabilità del governo da quelle dell’opposizione che intendono diventare. Questa è una delle precondizioni per giocare la carta di un ampliamento dei consensi presso un elettorato più largo di quello rappresentato dai bianchi moderati, cercando di raccogliere lo scontento verso l’ANC dei gruppi di borghesia nera e coloured. De Klerk ha già annunciato una trasformazione del partito in senso più decisamente inter-razziale, mentre deve fare fronte alla competizione nell’elettorato bianco da parte sia del liberale Democratic Party, che sta raccogliendo i frutti della sua opposizione liberale e liberista in parlamento, sia dell’estrema destra parlamentare del Freedom Front del generale Viljoen. Il ritiro dal governo dovrebbe inoltre ridurre le opposizioni all’interno del partito, scontente delle concessioni fatte all’ANC, tanto più che una volta completata la redazione del testo costituzionale il NP non ha più alcuna leva per cercare di influenzare il processo di costruzione istituzionale e le regole di base del gioco politico.
Qualche osservazione deve essere svolta a proposito del terzo grande attore politico sudafricano, cioè dell’Inkatha Freedom Party (IFP). Come si è ricordato, pur non avendo partecipato al voto sulla Costituzione, il partito di Buthelezi ha annunciato che per ora non uscirà dal governo. L’assicurazione va presa con cautela, data l’abitudine del suo leader Mangosuthu Buthelezi, gran capo degli Zulu e ministro degli Interni, di cambiare repentinamente posizione. Sebbene presente nell’esecutivo, l’Inkatha dal1994 ad oggi si è distinta per il suo assenteismo, per non chiamarlo apertamente boicottaggio, in sede governativa e parlamentare. E l’IFP ha espresso riserve sul nuovo testo costituzionale sia perché non accoglie i principi federalisti da esso caldeggiati, sia perché riduce il ruolo nel governo locale dei leaders tradizionali.
E’ noto, poi, che l’Inkatha più che trattare sulla base di posizioni e proposte politiche, ha giocato soprattutto la carta della violenza, nella “sua” provincia del KwaZulu-Natal e nell’area industriale di Johannesburg, come arma di pressione e di ricatto sul governo nazionale e sulle trattative politiche, lasciando costantemente accesa una miccia di estrema pericolosità per la tenuta del Sud Africa democratico.
Tra il 1985 e il 1995 la violenza politica ha provocato quasi 23.000 morti, in quella che può essere considerata una vera e propria “guerra civile strisciante”, seppure confinata ad alcune aree del paese. Negli ultimi otto mesi le vittime sono state 600 nella sola provincia del KwaZulu-Natal. Pur rimanendo molto elevata e per ora priva di una soluzione politica credibile, la violenza è andata tuttavia diminuendo dopo le elezioni del 1994, passando dai quasi 3.800 morti del 1993 a poco più di mille nel 1995. Su questo fronte va registrato soprattutto il netto calo della violenza targata IFP nelle township di Johannesburg, calo che sembra segnalare una crescente difficoltà di Buthelezi a esportare la sua strategia di destabilizzazione nel cuore industriale del paese come ai tempi dello “Inkathagate”, quando, all’indomani della rilegalizzazione dell’ANC, poté contare sull’aiuto logistico e la complicità di parte delle forze di sicurezza bianche per armare i suoi impis, i suoi guerrieri, e trasportarli nel Witwatersrand. Assistiamo così al paradosso di un ministro degli Interni che non riesce o non vuole garantire la sicurezza proprio nella sua provincia. Se la situazione è leggermente migliorata anche nel KwaZulu-Natal il merito va alla strategia voluta da Mandela, che implica tra l’altro l’impiego di corpi speciali (Investigation Task Units) che non fanno capo al ministero dell’Interno bensì al ministero della Polizia, controllato dall’ANC.
In sintesi, le scosse nel sistema politico sudafricano seguite all’adozione della Costituzione definitiva non vanno drammatizzate, nel senso che appaiono gestibili nel quadro politico attuale e ne configurano più una evoluzione nella direzione di una maggiore concorrenzialità tra i partiti maggiori che una spaccatura verticale tra i gruppi razziali del paese. Si può tuttavia prevedere una ristrutturazione profonda dello scenario politico da qui alle elezioni del1999, con un aumento rilevante della competizione e del tono della discussione politica tra i partiti di governo e le opposizioni, come pure il passaggio a breve a un governo sostanzialmente monocolore dell’ANC. Tanto il NP che l’IFP hanno infatti tutto l’interesse a dividere le loro sorti da quelle del partito di Mandela per allargare i loro consensi in quella che sarà la prima vera misurazione del consenso elettorale nelle consultazioni del1999.I problemi più acuti sorgono semmai su altri fronti, primo tra tutti quello delle politiche economiche e sociali, a cui si rivolgerà ora l’attenzione.

Dibattiti e scontri sulle politiche economiche e sociali

L’ANC ha riflettuto sull’esperienza in campo economico acquisita dal 1994 ad oggi. Nel suo complesso, l’economia sudafricana continua a mostrare segnali incoraggianti. Nel 1995-96, la crescita del prodotto interno lordo si è attestata attorno al 4 %, uno dei migliori risultati dell’ultimo decennio; l’inflazione è stata contenuta al 5,5 , il minimo storico di un arco temporale di ben 24 anni durante i quali non era mai scesa al di sotto del 9 annuo; ugualmente il deficit di bilancio è sceso dall’8,5 % del 1993 all’attuale 5,1 % del PIL. Risultati che, con un po’ di esagerazione “politica”, hanno fatto parlare di una “performance fantastica” a Michel Camdessus, direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, che ha visitato la RSA alla fine di aprile.
Dietro questa buona performance continuano, tuttavia, a esistere le distorsioni strutturali dell’economia sudafricana. Tre sono essenzialmente le questioni maggiori sulle quali si sta concentrando la discussione negli ambienti politici e tra questi e i soggetti economici e sociali organizzati (imprenditori e sindacati). La prima è la questione del deficit e del debito pubblico; la seconda la questione del lavoro e dell’occupazione; la terza quella delle privatizzazione dell’ampio settore statale e parastatale.Il buon tasso di crescita dell’economia degli ultimi anni non sta creando nuovi posti di lavoro: dal 1993, dall’inizio cioè della politica di austerità. Il numero dei nuovi posti di lavoro creati annualmente nel settore formale, agricoltura esclusa, non ha oltrepassato i 50.000 mentre, sempre annualmente, solo dalla scuola escono 400.000 diplomati che vanno a ingrossare l’esercito della disoccupazione che ha raggiunto ormai quota 33% della forza lavoro attiva; una percentuale che tra i neri raggiunge il 41%, quasi la metà della popolazione nera attiva, pari a circa 5 milioni di persone. L’impatto sociale di queste cifre è probabilmente attutito sia dall’espansione del settore informale sia da forme di solidarietà familiare e di gruppo, ma resta il fatto che l’attuale ritmo di crescita è insufficiente a contenere e ridurre la disoccupazione e a tamponare gli effetti dell’incremento demografico, soprattutto tra gli africani.
Per la South African Foundation, che rappresenta le principali imprese del paese, la ragione fondamentale dei mancati risultati in campo occupazionale risiede in un’eccessiva regolamentazione del mercato del lavoro, ritenuto troppo rigido e costoso. Secondo gli imprenditori, non si può pensare di garantire a tutti i lavoratori una tutela sindacale tipica dei paesi industrializzati in un contesto economico che non è ancora altamente sviluppato. Di conseguenza, oltre a tagli della spesa pubblica e dell’impiego statale, gli imprenditori sudafricani propongono la creazione di un mercato del lavoro a due livelli, con un livello di ingresso a retribuzione più bassa; la riduzione dell’imposta sui redditi d’impresa e un aumento dell’IVA; ma soprattutto un programma di privatizzazioni per le innumerevoli imprese statali che, dal turismo all’alimentazione passando per le telecomunicazioni, praticamente “bloccano” uno sviluppo più efficiente dell’economia assorbendo consistenti fette del bilancio per il pubblico impiego e inibendo l’afflusso di capitali esteri.
Diverse ovviamente sono l’analisi e le proposte dei sindacati, in particolare della potente COSATU, forte di 1 milione e 600.000 iscritti e da sempre fortemente legata all’ANC. I sindacati attribuiscono la maggiore responsabilità della mancata crescita dell’occupazione alle grandi compagnie sudafricane e reclamano una rigorosa politica anti-trust per ridurne il potere e il controllo sull’economia. L’economia del Sud Africa dell’apartheid aveva messo in piedi un regime di monopolio quasi allo stato puro, che ancora non è stato sostanzialmente intaccato. Basti pensare che un solo gruppo come l’Anglo-American Corporation è arrivato a rappresentare il 43 % della Borsa, e che pochi giganti (oltre all’AngloAmerican-De Beers, la Old Mutual, la Liberty Life, la Sanlam e il Rembrandt Group) controllano l’80% della capitalizzazione di borsa.
Per ammissione del nuovo ministro delle Finanze, Trevor Manuel (ANC), lo strapotere delle grandi holding rende difficile l’inserimento di capitali stranieri nell’economia sudafricana. La cosa è; ormai vera solo fino a un certo punto, perché fin dal 1990 le stesse grandi compagnie sudafricane hanno cominciato ad attuare una “strategia della diversione” per controbattere la concorrenza dei grandi gruppi stranieri sia in Sud Africa che nell’economia internazionale. Gradualmente hanno cominciato a costruire all’estero, preferibilmente in Svizzera, società-cassaforte in cui custodire il cuore dei loro affari. Per esempio: la De Beers (che equivale a dire cartello mondiale dei diamanti) ha creato a Lucerna la De Beers Centenary che ha sottratto alla casa-madre di Kimberley il controllo degli stock di diamanti della Central Selling Organization di Londra, lasciando alla De Beers sudafricana il controllo della sola estrazione.
Ma proprio per l’anti-trust e le grandi compagnie, all’inizio di maggio si sono annunciati cambiamenti che, se andranno in porto, potranno cominciare a mutare l’assetto economico sudafricano. Due grossi gruppi di investimento neri, il New African Investments Ltd. e il National Empowerment Consortium, sono entrati in lizza per ottenere il 48 % della Johnnic (Johnnies Industrial Co.) che, per conto dell’Anglo-American Corporation, controlla diversi settori industriali (dall’automobile alla produzione di birra, dal turismo all’editoria). E’ l’operazione finanziaria più ardita mai tentata dalla nascente imprenditoria nera e, significativamente, al vertice della New African Investments si è insediato, come si è ricordato, l’uomo che veniva considerato l’erede naturale di Mandela: Cyril Ramaphosa, già leader del sindacato e passato poi a dirigere l’ANC. Il passaggio di Ramaphosa dalla politica all’economia sarebbe avvenuto con il pieno consenso di Mandela, e secondo alcuni segnalerebbe la consapevolezza, da parte dell’ANC, della necessità di dotarsi di un’esperienza tecnico-economica all’altezza della sfida che la ristrutturazione dell’economia sudafricana richiede e di inserire i suoi uomini migliori nel cuore dell’economia del futuro.
I sindacati hanno reagito con estrema cautela all’intera operazione, nonostante per il suo finanziamento sia impegnata anche parte dei fondi pensionistici sindacali. I sindacati temono che a beneficiare del nuovo corso sia solo una ristretta élite nera e, in attesa dei risultati dell’assalto del New African-National Empowerment Consortium alla Johnnic, reclamano un aumento della tassazione dei redditi delle compagnie, una politica fiscale più equa, l’accesso garantito per i più poveri ai servizi sociali e un avanzamento dei diritti dei lavoratori attraverso forme di contrattazione centralizzata. Soprattutto non menzionano tra le priorità della nuova strategia economico-sociale le privatizzazioni, che dagli ambienti finanziari internazionali sono considerate invece cruciali per affrontare il risanamento del bilancio statale e in particolare del debito pubblico.
Le privatizzazioni sono diventate quindi una delle principale cartine di tornasole sia dell’economia che della politica sudafricana, con il governo ormai stretto nella tenaglia industriali-sindacati. I primi hanno accusato il governo di essere “ostaggio della COSATU” e di impedire con una politica “populistica” un reale risanamento dell’economia, precondizione per attirare gli investimenti stranieri. Dal canto loro, i sindacati sempre più apertamente hanno denunciato e denunciano la politica “conservatrice” del governo; ritengono a loro volta che l’esecutivo sia ostaggio dei “padroni”, i quali vorrebbero far pagare i costi del risanamento economico alla classe operaia e ai poveri di sempre, mentre i dirigenti delle grandi industrie continuano a percepire stipendi da favola (non a caso nel loro documento programmatico hanno chiesto di fissare un limite agli stipendi piu elevati in modo che non superino di piu di otto volte il salario piu basso nella stessa compagnia).
Nel pieno di questo accesissimo dibattito, il14 giugno il Governo ha presentato il suo programma economico che è stato giudicato dal mondo degli affari sudafricano e internazionale come il quadro strategico piu adatto ad affrontare le privatizzazioni e garantire il “liberismo” economico. Fermi restando rigore e austerità, gli obiettivi centrali del programma sono: la riduzione del deficit di bilancio dal 5 % del PIL previsto per il1996 al 3 % nel 2000; raggiungere, sempre entro il 2000, un tasso di crescita annuo del 6%; la creazione di 400.000 posti di lavoro all’anno. E’ stata confermata la graduale abolizione del controllo sui cambi e delle tariffe protezionistiche doganali. Sono previsti consistenti sgravi fiscali per gli investitori esteri e lo stesso presidente Mandela si è fatto ambasciatore di quello che ha definito “un piano Marshall” degli investitori esteri per il Sud Africa, in occasione della sua visita in Germania. Il viaggio in Gran Bretagna e Francia ha lo stesso obiettivo, mentre i fitti colloqui con l’Unione Europea sono in vista di un accordo di libero scambio. Ma soprattutto è stato Mandela in persona a farsi portavoce della necessità di accelerare il processo di privatizzazione, quando ha affermato che “Le privatizzazioni fanno parte della politica del governo e in quanto tali saranno realizzate a breve”. Ed, effettivamente, in giugno dal ministero delle Imprese pubbliche sono partite nuove iniziative in questa direzione, dopo mesi di stallo.
La presentazione del programma economico, anche se alcuni dei suoi obiettivi come la creazione di 400.000 posti di lavoro all’anno appaiono irrealistici, ha avuto l’effetto di frenare la speculazione sul rand e di rassicurare il mondo degli affari, che attendeva il governo alla prova dell’uscita dall’esecutivo del National Party. Rimane però aperto il contenzioso con la COSATU. Con l’effettivo avvio del processo delle privatizzazioni potrebbe prendere forma il divorzio in seno alla storica alleanza tripartita ANC-COSATU-Partito Comunista (SACP), e quasi certamente i sindacati risponderanno con tutte le armi a loro disposizione. Le privatizzazioni hanno infatti anche una forte carica simbolica: le imprese pubbliche sono state storicamente lo strumento attraverso il quale la popolazione boera ha colmato la distanza economica e sociale con la componente anglofona del Sud Africa dopo la vittoria elettorale del NP nel1948. Con l’avvento del sistema democratico e nel momento in cui l’aspettativa della maggioranza dei sudafricani è che il governo operi nel senso almeno di correggere gli squilibri ereditati dall’apartheid, l’economia sembra tornare ad essere svincolata dalla politica dello Stato e del governo, e dalle priorità sociali impellenti, come una sorta di “variabile indipendente”. Ciò è causa di non poche frustrazioni e malcontento nella tradizionale base sociale attiva dell’ANC, in primo luogo i neri urbanizzati, salariati e disoccupati, che affollano le grandi township delle aree di maggior sviluppo industriale, peraltro in crescita vertiginosa a seguito dei flussi migratori dalle campagne, resi possibili dall’abolizione della legislazione che, durante l’apartheid, controllava i movimenti e la residenza della popolazione africana.
E’ difficile dire al momento come la politica economica responsabile e realistica del governo ANC e le tensioni con il sindacato potranno riflettersi, da qui alle elezioni generali del1999, sul consenso popolare ed elettorale del partito di Mandela. L’ANC indubbiamente gode ancora di una grande popolarità, alla quale non è estranea la figura del Presidente e la sua credibilità personale. Ma in vista sia delle elezioni che del cambio al vertice della Presidenza, con la quasi certa candidatura di Thabo Mbeki, il liberismo dei programmi economici governativi e la lentezza esasperante con cui stanno arrivando risultati in campo sociale potrebbero diminuire tale popolarità, soprattutto fra gli strati più emarginati della popolazione nera, oltre che costare all’ANC una rottura con il potente sindacato COSATU. E’ un rischio, tuttavia, che l’ANC sembra aver anticipato e messo in conto, tanto che lo stesso vice-presidente Thabo Mbeki ha in varie occasioni accennato alla possibilità di uno “sfoltimento” del partito, l’eventualità cioè che dal fronte indistinto dell’ex movimento di liberazione si stacchino ali piu radicali sulla sinistra e ali piu conservatrici e moderate sulla destra.

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