Il sogno di Star Trek

Anche chi non ha mai visto un episodio dei telefilm di Star Trek, probabilmente ha sentito parlare del teletrasporto sull’astronave Enterprise. E’ il famoso sistema che permette al capitano Kirk e al suo equipaggio di scendere su un qualsiasi pianeta senza dover atterrare: basta entrare nella macchina del teletrasporto, e il corpo viene “smaterializzato” per ricomparire istantaneamente a destinazione. Ma da qualche tempo questo termine, “teletrasporto”, è entrato anche nel mondo dei fisici. Certo, trasportare un corpo, o semplicemente l’informazione necessaria a “ricostruirlo”, in modo istantaneo da un posto all’altro, rimane un’impresa da fantascienza. Ma sull’ultimo numero della serissima rivista Nature compare un articolo intitolato proprio “Teletrasporto quantistico sperimentale”. E descrive due esperimenti che hanno trovato “la via più veloce per andare da Alice a Bob”. Vediamo di cosa si tratta.

Siamo nel campo dei sistemi microscopici, dove regna la meccanica quantistica che, con le sue strane leggi e le sue caratteristiche peculiari, ci obbliga ad allontanarci dalla visione classica e intuitiva del mondo a cui siamo abituati. Per entrare in un mondo dove possono accadere fenomeni quasi paradossali, dove sembra che i messaggi viaggino più veloci della luce. E dove si può parlare di teletrasporto.

La questione è sottile. E per capire che cosa hanno fatto i due gruppi di scienziati, il primo diretto da Anton Zeilinger dell’Università di Vienna, il secondo da Francesco De Martini dell’Università di Roma, per realizzare il teletrasporto quantistico nei loro laboratori, occorre fare un passo indietro. Nel 1935, quando il dibattito sui fondamenti della meccanica quantistica era ancora molto vivace, Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen scoprirono una misteriosa correlazione che lega oggetti anche lontanissimi tra loro. Un fenomeno inspiegabile ai loro occhi, e da allora conosciuto come il paradosso Epr (dalle iniziali dei tre scienziati). Considerando due sistemi fisici che abbiano interagito tra loro e poi si siano separati sufficientemente, è possibile ricavare informazioni su uno dei due eseguendo una misura sull’altro.

Solo trent’anni dopo, gli studi di John Bell, approdati a un famoso teorema e ai relativi esperimenti, hanno portato a riconoscere che questa connessione, chiamata “entanglement”, esiste davvero. E significa che la teoria che descrive il mondo microscopico, la meccanica quantistica appunto, è non locale. In altre parole, è possibile che gli esiti di una misura effettuata in una certa regione dello spazio dipendano dall’esito di un’altra misura eseguita nello stesso istante su un sistema lontanissimo. Insomma, una coppia di questi sistemi fisici “gemelli”, o “entangled” come direbbero gli scienziati, sono collegati da una sorta di canale quantistico. Ciò che accade a uno dei due si riflette istantaneamente sull’altro, anche se è ad anni luce di distanza.

L’idea più affascinante sarebbe quella di sfruttare questa non località quantistica per trasmettere informazioni più velocemente della luce. Ma questo violerebbe il principio di relatività. Tuttavia, quattro anni fa il fisico Charles Bennet mostrò come fosse possibile separare l’intera informazione necessaria a riprodurre un oggetto in due parti, una quantistica e una classica. La prima può essere trasmessa istantaneamente, ma non può essere usata se non si conosce la seconda, che può viaggiare solo per vie convenzionali, e quindi a velocità inferiori a quella della luce. Dunque il canale quantistico c’è, ma per “trasportare” informazioni utilizzabili deve essere affiancato da uno classico.

E’ questa la strada del teletrasporto basato sul canale quantistico tra due fotoni “entangled” o “gemelli”, cioè fortemente correlati. E l’esperimento che lo realizza, eseguibile in laboratorio con un apparato fatto di laser, cristalli, e strumenti ottici, si può raccontare coinvolgendo due personaggi: Alice, che trasmette, e Bob, che riceve.

Alice ha un fotone, un corpuscolo elementare della luce, di cui non sa nulla. Il suo compito è trasmetterlo a Bob, che è molto distante in un luogo non ben precisato. Le regole alla base della meccanica quantistica, e precisamente il principio di indeterminazione di Heisenberg, impediscono ad Alice di misurare qualsiasi caratteristica del fotone per comunicarla a Bob, o di “copiare” la particella per inviarla direttamente. Infatti, misurare esattamente la posizione di un oggetto microscopico impedisce di conoscere la sua velocità, e misurare la velocità non ci permette di conoscerne la posizione.

Sarebbe inoltre troppo lento e insicuro inviare direttamente l’originale, soprattutto perché Alice non sa dov’è Bob. Ma i due, prima di separarsi, hanno condiviso un’altra coppia di fotoni gemelli, A e B, legati dal canale quantisitico. Alice possiede A, e Bob ha portato B con sé. E’ questo il canale quantistico intermediario che permetterà ad Alice di mandare il messaggio (il fotone originario) a Bob. Infatti Alice può eseguire una misura sul sistema formato dal suo fotone-messaggio e da A. In questo modo non saprà nulla delle caratteristiche del fotone-messaggio perché il processo stesso della misura le avrà alterate, distruggendo il fotone da teletrasportare. Ma, a causa del canale quantistico tra A e B, anche B risulterà simultaneamente cambiato. Così la parte quantistica dell’informazione è passata.

Ad Alice non resta ora che trasmettere a Bob per via classica il risultato della sua misura, o meglio il tipo di misura eseguita. A questo punto Bob potrà eseguire la trasformazione necessaria sulla particella B per ottenere una perfetta copia del messaggio. “E non si tratta di una clonazione”, come precisa De Martini di fronte al delicato apparato ottico realizzato nel suo laboratorio assieme ai fisici Danilo Boschi e Salvatore Branca.”Infatti la misura di Alice distrugge la particella originaria e tutte le sue caratteristiche si ritrovano nel fotone di Bob”.

Naturalmente i due esperimenti, quello austriaco e quello italiano, sono ben più complicati della storia di Alice e Bob, e sono anche diversi tra loro. Ma ciò che conta è che entrambi costituiscono un passo decisivo verso l’applicazione pratica di queste teorie. Che potrebbero permettere, per esempio, di costruire computer quantistici, più veloci di quelli attuali classici e capaci quindi di risolvere problemi molto più complessi.

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