In Italia si ha paura di parlare di Aids. Il tabù esiste ancora e ci si vergogna della malattia come di promuovere i profilattici quale misura di prevenzione, o i test. Le campagne anti Aids nel nostro paese sono state a dir poco inefficaci nel loro timido tentativo di far percepire la malattia come un potenziale problema personale, e nel portare gli individui a modificare i comportamenti a rischio. A mettere in luce i mancati risultati di venti anni di marketing per la prevenzione sono Emilio Tanzi e Isabella Soscia della Scuola di direzione aziendale Sda Bocconi, che hanno presentato oggi la loro analisi nel corso dell’incontro “E liberaci dal male” organizzato dal Customer and Service Science Lab dell’università milanese.
I casi di contagio in tutta Europa non stanno affatto diminuendo: con 77.553 infezioni, l’Hiv ha colpito più persone nel 2005 che nel 2000. In Italia in particolare, nel 2004 si sono registrate 6,7 nuovi contagi ogni 100mila abitanti, con una sempre maggior incidenza tra la popolazione femminile (nel 1985 il rapporto uomini/donne era 3,4 mentre nel 2004 era già sceso a 2,2). Dato sconcertante quello che riguarda l’aumento della trasmissione per via sessuale, sia etero sia omo, che è passata dal 7 per cento del 1985 al 57,8 per cento del 2004.
I ricercatori della Sda Bocconi hanno analizzato gli 85 messaggi lanciati dal Ministero della Salute (72%), dalla Lega italiana per la lotta contro l’Aids, Lila (21%) e da Pubblicità progresso (7%). Ne è emerso che solo il 44 per cento delle campagne fornisce informazioni pratiche, indicando per esempio quali sono i servizi esistenti e dove rivolgersi. Ancora inferiore (31%) la percentuale delle campagne in cui viene affrontato il tema del test per l’Aids, unico strumento attualmente a disposizione per sapere se è stata contratta l’infezione e conoscere il proprio stato di salute. Solo il 18 per cento, infine, invita a non discriminare chi è malato.
I riferimenti espliciti ai preservativi, poi, sono sempre più evitati: “profilattico” e sinonimi compaiono appena nel 29 per cento delle campagne analizzate, ma l’andamento è in picchiata visto che la loro presenza all’interno dei messaggi passa dal 44 per cento del periodo 1987-1991, al 7 per cento del 2003-2007. L’immagine di un preservativo, invece, compare nel 21 per cento dei casi, con un andamento irregolare nel corso del tempo.
C’è anche un altro aspetto interessante che l’analisi mette in luce: “La chiave comunicazionale utilizzata è prevalentemente quella informativa, con quasi metà dei messaggi che non fa ricorso a nessun genere di emozione”, si legge nel rapporto. “Con il tempo”, è scritto, “si è inoltre ristretta la gamma delle suggestioni emotive utilizzate, ormai ridotta alle sole suggestioni amorose”. La conclusione cui giungono gli autori è che questi sforzi si sono finora mostrati inadeguati e hanno rivelato scarse potenzialità di modificare il comportamento individuale. L’unico in grado di contrastare l’aumento dell’incidenza. (t.m.)