Il Web prossimo venturo

PISA – “People to people”, “machine to people” e “machine to machine”: sono questi i tre concetti che guideranno nei prossimi anni le iniziative del W3c, il World Wide Web Consortium (http://www.w3c.org), ovvero l’organizzazione che si occupa delle specifiche e degli standard del web. Diretta dal “padre” del web, Tim Berners Lee, il consorzio divide la sua sede fra il laboratorio di Computer Science del Mit per gli Stati Uniti, l’istituto di ricerca francese Inria per l’Europa e la Keio University di Tokio per l’Asia. Adesso c’è anche una “filiale” in Italia. E’ stato Josef Dietl, responsabile delle relazioni con i membri del W3c, ad illustrarne le linee guida nel corso dell’inaugurazione, giovedì 22 aprile scorso a Pisa, dell’ufficio italiano (http://w3c.cnuce.cnr.it), che si aggiunge quelli di Germania, Grecia, Hong Kong, Olanda, Svezia, Taiwan e Gran Bretagna.

Il web – ha spiegato Dietl – è diventato un mezzo di comunicazione vero e proprio e c’è sempre più l’esigenza di potersi fidare reciprocamente (people to people). L’interazione fra la macchina e l’uomo si basa fortemente sul contenuto e sul modo di presentarlo, per rendere il world wide web veramente “worldwide” ovvero accessibile a tutti (machine to people). Infine c’è il rapporto fra le macchine, con un infrastruttura che dovrà essere sempre più potente e veloce (machine to machine). Serve quindi “portare il web alle sue massime potenzialità” e, di conseguenza, affrontare quattro grandi scommesse: prevenire la frammentazione del mercato, sviluppare un’architettura potente, supportare sensibilità e responsabilità di carattere sociale e mirare ad un contesto culturale “regionale” in cui poter preservare culture specifiche in materia di privacy, protezione dei minori e così via.

Dalle parole ai fatti. Oltre 150 persone, molte provenienti dal mondo accademico, hanno seguito la presentazione delle attività del W3c nei suoi quattro principali settori di ricerca: le architetture, l’interfaccia utente, società e tecnologia e infine la “web accessibility”. E nei vari interventi sono stati più volte pronunciati acronimi destinati a diventare famosi nei prossimi anni fra tutti coloro che navigano su Internet: Rdf, Dom, Smil insieme ai più noti Css, Xml o Pics. Dietro ogni sigla si nascondono progetti affascinanti con un presupposto di base: tutto ciò che il W3c realizza, dai prototipi alle raccomandazioni finali, è destinato, dopo l’approvazione da parte dei membri, ad essere adottato come standard di riferimento per il web. In parole povere, nel consorzio si fa anche molta ricerca, ma l’obiettivo è sempre e comunque il mercato in tutte le sue componenti: chi “vende”, ma anche chi “acquista”. Non a caso fanno parte del W3c i principali produttori mondiali di software (Microsoft, Netscape ed Adobe su tutti) ma anche aziende del calibro di Ibm e Bull, insieme a tante piccole società direttamente coinvolte sul web. Per l’Italia ci sono Telecom Italia, Enel, il Cnr e pochi altri, ma si spera che l’apertura dell’ufficio aumenti il coinvolgimento.

Molte le novità emerse nell’incontro di Pisa. Nel campo del commercio elettronico il W3c si sta occupando di micropagamenti e, insieme a serissime specifiche su formati e dati, è spuntato il “Perfeelink”, ovvero il link con la possibilità di avere pagamenti “in negativo”. Che cosa vuol dire? Se decidete di cliccare su quel determinato link, qualcuno, per ringraziarvi dell’interesse, vi accrediterà qualche soldo sul vostro portafoglio elettronico. Massimo Marchiori, responsabile del W3c per il settore società e tecnologia, ha presentato anche i progetti sulla firma digitale (iniziative che, nei prossimi anni, consentiranno di poter firmare anche le pagine web) e l’attualissimo progetto sulla privacy: il P3p (Platform for Privacy Preferences), il cui obiettivo è di regolamentare lo scambio di dati personali per rendere esplicite le intenzioni relative alla raccolta nel dialogo fra client e web. Insomma: stop ai cookies “nascosti” o alle registrazioni sui file di log se chi le utilizza non chiarisce prima di tutto che cosa ne vuole fare, perché lo fa, se intende cederli ad altri e via di questo passo. Contemporaneamente però sarà possibile inserire nel browser tutti quei dati che ognuno di noi autorizza a rivelare permettendo, ad esempio, la compilazione di form in maniera automatica.

Ma le sorprese non si fermano qui. Marchiori ha citato un Tim Berners Lee quasi profetico: “bisogna passare dall’attuale Web ad un nuovo Web semantico” ma anche “far restare dati i dati”. E quindi ecco il W3c pronto a lavorare per lo sviluppo di un linguaggio di ricerca che permetta di trovare esattamente ciò che cerchiamo (Rdf e Ql, Query Language) e studiare il modo per poter ricevere dati nel medesimo formato in cui sono stati creati senza doverli trasformare a causa del web. Philipp Hoschka, responsabile del settore di ricerca dedicato alle architetture, ha poi spiegato che “in due o tre anni il traffico sul Web supererà il traffico telefonico” e che quindi è necessario un ripensamento dell’approccio architetturale. Parlando di “Web characterization” , ha chiesto una ridefinizione dell’attuale architettura nata prevalentemente per supportare tipologie di traffico completamente diverse.

E in Italia che succede? Franco Denoth del Cnr ha snocciolato cifre impressionanti. Nel 1998 gli utenti nel mondo che si sono collegati ad Internet almeno una o due volte a settimana sono stati 148 milioni e nel 2005 arriveranno a 720 milioni. Per l’Italia si parla di 2 milioni 140 mila utenti non occasionali nel 1998 e se ne stimano 10 milioni e 600 mila nel 2000. Ma dal confronto con gli altri paesi europei l’Italia non esce bene. Un ultimo dato sul numero di domini registrati sotto il top level domain ”.it”: al 18 aprile 1999 erano 50.949 contro i 330.052 della Germania e i 258.485 dell’Inghilterra, ma anche sopra i 36.809 della Francia.

Due interventi hanno dato la scossa alla platea. Il primo è stato di Andrea Di Camillo della Pino Venture Capital (dove la “Pi” di Pino sta per Elserino Piol, storico manager di Olivetti oggi impegnato a pieno ritmo in interessanti iniziative) gestrice del “Fondo Kiwi” specializzato in investimenti sulle nuove tecnologie. Di Camillo ha raccontato come da due mesi abbiano cominciato, oltre che sulle telecomunicazioni, ad investire su società italiane che si occupano di Internet. L’impressione è ottima – ha detto Di Camillo – con molti imprenditori seri che non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi oltreoceano. Gianluca Dettori, dell’Internet Advertising Bureau sezione italiana, ha rivelato una stima fatta fra gli addetti ai lavori: nel 1998 il fatturato derivante dalla vendita di pubblicità sui siti web italiani avrebbe raggiunto i 15 miliardi. Secondo gli ultimi dati certificati ogni trimestre (l’Iab cercherà di farlo anche in Italia spulciando i bilanci con una società specializzata), negli Usa il 1999 si chiuderà con un fatturato pubblicitario complessivo sui siti web di circa 3.500 miliardi di lire. “Nei prossimi due o tre anni la raccolta pubblicitaria per i siti web supererà quella sulla radio”, ha concluso Dettori.

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