Impulsi di luce contro Einstein

Al Nec Research Institute di Princeton nel New Jersey qualcosa ha viaggiato 310 volte più veloce della luce. Un impulso luminoso ha infatti superato il limite imposto dalla teoria della relatività speciale di Einstein di 300 mila chilometri al secondo. Sollevando una serie di questioni critiche: se nessun oggetto può viaggiare “più veloce della luce”, come è riuscito il team di fisici diretto da Lijun Wang a “vedere” un impulso luminoso uscire da un mezzo prima ancora di averlo attraversato? E perché gli stessi ricercatori continuano a sostenere che non è stato violato il principio di causalità, secondo cui la causa di un fenomeno fisico (in questo caso il fascio luminoso in ingresso) precede sempre l’effetto (fascio in uscita)?

La risposta è pubblicata su Nature, dove lo stesso Wang spiega che gli impulsi superluminali (cioè più veloci della luce) ottenuti nel loro esperimento sono una conseguenza della natura ondulatoria dell’impulso di luce. Che non ha massa, ed è composto da un elevato numero di singole onde luminose. E che, soprattutto, non è in grado di trasportare informazione.

Cosa è successo allora realmente nei laboratori di Princeton? Un impulso luminoso viene sparato contro un mezzo in grado di accelerarlo. Si tratta di un gas di cesio atomico, contenuto in una scatola lunga 6 centimetri. Affinché il cesio sia in grado di accelerare l’impulso, però, è necessario che l’indice di rifrazione – una caratteristica fisica del mezzo – vari rapidamente. Ecco perché due laser bombardano continuamente la cella gassosa.

In fase di realizzazione, l’impulso inviato è uscito dalla camera di cesio 62 miliardesimi di secondo prima di apparire in ingresso. Un tempo solo apparentemente piccolo, visto che in questo intervallo l’impulso riesce a percorrere quasi 20 metri, viaggiando a una velocità 310 volte superiore a quella della luce nel vuoto.

Ciò che sembra un inquietante paradosso trova però spiegazione nella teoria ondulatoria. Ogni impulso luminoso è infatti un pacchetto d’onda, cioè un insieme di onde elettromagnetiche differenti per ampiezza, fase e frequenza. La velocità di ogni singola onda che compone il pacchetto è detta velocità di fase, mentre la velocità con cui questo si propaga è la velocità di gruppo.

In altre parole, il pacchetto d’onda è paragonabile a una colonna di auto in coda. La velocità di fase è quella di ogni singola automobile mentre quella di gruppo è la velocità del punto di congestionamento. Che può anche essere negativa visto che nel procedere della colonna, il punto di congestionamento può spostarsi in senso opposto rispetto a quello di marcia. Inoltre può accadere che sia il punto di congestionamento sia le singole auto possano per brevi tratti muoversi più velocemente della prima auto, tornando poi ad ammassarsi, senza però poterla mai superare. Quindi, al contrario della prima automobile, le singole auto e il punto di congestionamento non hanno un limite di velocità (nell’esperimento uguale a quella della luce).

Il nodo cruciale è quindi il punto in cui si sceglie di misurare la velocità del pacchetto d’onda, perché questo punto può spostarsi in avanti quando il pacchetto attraversa il mezzo. Così come accade per il punto di congestionamento durante il moto dell’intera colonna d’auto. E’ per questo motivo che il team di Wang ha registrato una velocità maggiore della luce: in realtà la misura è stata fatta relativamente a due punti diversi del pacchetto. Che invece, globalmente, non ha infranto il limite della teoria di Einstein. Ciò nonostante, il dibattito è aperto.

Il lavoro di Wang è infatti solo l’ultimo di una lunga serie: nel 1995 Gunter Nimtz, sfruttando l’effetto tunnel, annunciò di aver trasmesso la quarantesima sinfonia di Mozart (o meglio, un’onda elettromagnetica che la riproduceva) a una velocità 4,7 volte superiore a quella di luce. Un analogo risultato è stato poi annunciato da Daniela Mugnai, Anedio Ranfagni e Rocco Ruggeri del Cnr di Firenze, e pubblicato il 22 maggio scorso su Physical Review Letters.

Come però afferma Raymond Chiao dell’Università della California: “La teoria relativistica non è attaccata da questi esperimenti perché il fascio utilizzato, pur essendo superluminale, non è un segnale così come inteso da Einstein”. Cioè non trasporta informazione.

Ma nuovi esperimenti sono già in programma per studiare il comportamento di impulsi luminosi costituiti da poche onde di luce (una coda di sole tre o quattro macchine, che i fisici chiamano fotoni). In questo caso, sostiene infatti Wang, la velocità di gruppo può essere assimilata a quella del singolo fotone. E l’osservazione di un fotone superluminale avrebbe serie implicazioni circa la trasmissione di informazioni quantistiche. Come dire che a quel punto potrebbe aprirsi la strada alla realizzazione di processori superluminali. Ovvero di computer più veloci della luce.

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